L'opinione
Perché la Par Condicio due pesi e due misure sarà un boomerang per chi l’ha inventata: basta un telecomando
C’è uno squilibrio a favore del governo: ai conduttori dei talk show viene dato il via libera per monologhi di premier e ministri, al di fuori del contraddittorio e delle pari opportunità tra schieramenti diversi. Ma il cittadino ha un’arma di difesa: cambiare canale
Le modifiche al regolamento sulla Par Condicio, imposte a maggioranza dalla destra in commissione di Vigilanza Rai, pongono le condizioni per una situazione di squilibrio in favore del governo che non si era mai verificata neanche ai tempi di quando a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi. Neanche il Cavaliere, ai tempi del conflitto di interessi e di “Raiset”, si era spinto alla militarizzazione della Rai che vorrebbe Giorgia Meloni. Un brutto segnale per il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione del servizio pubblico, ma anche un segnale di debolezza per la premier, che evidentemente si sente in piena sindrome da bunker.
In realtà per garantire l’informazione istituzionale del governo non c’era bisogno di alcuna modifica al regolamento proposto dall’Agcom alla Vigilanza, perché l’informazione istituzionale è già ampiamente tutelata dalla Legge sulla Par Condicio del 22 febbraio 2000, tanto è vero che negli ultimi venti anni non si è mai creato alcun problema con l’informazione di presidenti del Consiglio e ministri in campagna elettorale, anche nel caso non fossero candidati alle elezioni. A garantire l’informazione istituzionale è un comma del Regolamento che viene approvato a ogni elezione e figura anche nell’attuale delibera, all’articolo 4: “I rappresentanti delle istituzioni partecipano secondo le regole stabilite dalla legge n. 28 del 2000 per tutti i candidati e gli esponenti politici, salvo nei casi in cui intervengano su materie inerenti all’esclusivo esercizio delle funzioni istituzionali svolte”. Se un premier o un ministro deve informare sull’esercizio delle funzioni istituzionali, può e anzi deve farlo. Il problema è che spesso i ministri, quando sono chiamati a rispondere su provvedimenti concreti (si pensi ai numeri del Def che il Governo ha omesso di comunicare), spesso preferiscono eclissarsi, ma questo è un altro discorso.
Non è l’informazione istituzionale, però, che evidentemente interessa a Giorgia Meloni, che ha raggiunto il record negativo di conferenze stampa (ne concede poche e di rado), ma la propaganda. L’emendamento che ha creato polemiche, infatti, è il seguente, votato a maggioranza: “Nel periodo disciplinato dalla presente delibera i programmi di approfondimento informativo, qualora in essi assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politico-elettorali, sono tenuti a garantire la più ampia possibilità di espressione ai diversi soggetti politici, facendo in ogni caso salvo il principio e la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative, secondo le regole stabilite dalle citate leggi n. 28 del 2000 e n. 515 del 1993”.
Parlare di “necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative” nei programmi di approfondimento informativo significa voler dare ai conduttori di trasmissioni e talk show un via libera per organizzare monologhi di premier e ministri per la propria propaganda politica, al di fuori del contraddittorio e delle pari opportunità di trattamento tra schieramenti diversi previsti dalla Legge sulla Par Condicio. Peraltro una previsione contraddittoria, perché il regolamento della Vigilanza non può comunque andare contro il dettato della Legge, che all’articolo 5 comma 1 prevede espressamente di “garantire la parità di trattamento, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione”. Se, per fare un esempio, “Porta a Porta” decidesse di riservare uno spazio senza contraddittorio alla premier Meloni, senza preveder analoghi spazi per tutte le liste che si presentano alle elezioni, potrebbe tentare di spacciarlo per una “informazione sulle attività istituzionali e governative”, facendosi scudo del regolamento appena approvato dalla Vigilanza, ma l’Agcom, forte del dettato della Legge del 2000, potrebbe comunque sanzionare la trasmissione, che si rivelerebbe una semplice puntata di propaganda.
Va aggiunto, in ogni caso, che i cittadini hanno a loro disposizione un’arma di difesa fondamentale, il telecomando. Forzature sulla tv pubblica, propaganda, imposizioni di solito hanno un effetto boomerang, perché gli elettori cambiano canale, ed è esattamente quello che sta accadendo in questi mesi alla Rai, sempre più in crisi di ascolti e ormai priva di spazi informativi di prima serata realmente competitivi. Avanti su questa strada avremo una Rai sempre più politicizzata, delegittimata, umiliata, smantellata, con un danno irreparabile per l’informazione e il pluralismo, e gli italiani, pur pagando il canone, costretti a rivolgersi sempre più alle tv commerciali, si pensi al successo informativo de La7.
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