La motivazione della sentenza
Pip di Marano e camorra, perché i giudici hanno assolto i fratelli Cesaro
«È rimasto tuttavia indimostrato che l’accordo tra gli odierni imputati e il clan Polverino abbia connotazioni tali da poter essere giuridicamente qualificato in termini di concorso esterno», scrivono i giudici della seconda sezione del Tribunale di Napoli nord nei motivi della sentenza che a settembre scorso mandò assolti i fratelli Aniello e Raffaele Cesaro dal reato di concorso esterno in associazione camorristica. «Del tutto irrilevanti» sono definite le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avevano raccontato di interessi comuni tra la famiglia Cesaro e il clan Puca. In oltre quattrocento pagine i giudici ripercorrono le tappe delle indagini e del processo, le testimonianze dei collaboratori di giustizia, le puntualizzazioni di accusa e difesa, spiegando perché la teoria della Procura non ha trovato conferme.
Innanzitutto, va ricordato che tutta la vicenda giudiziaria ruota attorno alla realizzazione del Pip di Marano, un grande insediamento industriale sul quale secondo pubblici ministeri e carabinieri la camorra aveva allungato le sue mire. Va ricordato anche che, a seguito dell’inchiesta nata dalle ipotesi di pm e carabinieri, i fratelli Cesaro (a loro volta fratelli del senatore di Forza ed ex presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro) hanno patito quattro anni di custodia cautelare, due in carcere e due agli arresti domiciliari. «Le motivazioni della sentenza con la quale il Tribunale di Napoli Nord ha assolto Aniello e Raffaele Cesaro dall’accusa di concorso esterno nel clan Polverino esplicita quel che era già chiaro dalla pronuncia del dispositivo. Vale a dire che in alcuni dei suoi momenti il cosiddetto affare Pip di Marano non fu frutto di collusione tra gli imprenditori aggiudicatari e la camorra locale – spiega il professor Vincenzo Maiello, difensore dei fratelli Cesaro – . La motivazione dei giudici non lascia spazio per ricostruzioni alternative, fondandosi sugli elementi ti di prova emersi in dibattimento e su quelli in via di consolidamento nel processo in corso di svolgimento a carico dell’ex sindaco Bertini. Confidiamo, pertanto, che la Procura voglia far passare in giudicato questo importante capo della decisione, riconoscendo il rigore dei giudici nella valutazione delle prove. Per il resto, residuano divergenze nella ricostruzione storica di taluni avvenimenti. A questo riguardo, amareggia sia il giudizio di inverosimiglianza delle accuse di estorsione a carico di Polverino, circostanziate e già riscontrate, sia la condanna di Aniello Cesaro per un reato di falso smentito da prove che non si sono mai volute acquisire».
Ma perché la Procura aveva contestato il concorso esterno ai fratelli Cesaro? Immaginavano, i pm, che attorno all’affare Pip si fosse creata una sorta di triangolazione e per dimostrarlo erano partiti da questo assioma: il Comune di Marano è pervaso dal clan, l’amministrazione comunale ha riservato favoritismi ai Cesaro, quindi i Cesaro hanno fatto un accordo con il clan. I Polverino in questo caso. Un assioma che non ha trovato prove nel processo. «Ritiene tuttavia il collegio – si legge nella motivazione della sentenza – che, essendo il tema della corrispettività dell’accordo intercorso tra camorra e imputati assolutamente dirimente ai fini decisori, ed essendo stata la sua attuazione assertivamente mediata da un ente comunale (che salvo prova contraria dovrebbe invece farsi portavoce del superiore interesse pubblicistico) la sua dimostrazione richieda il massimo rigore valutativo». Un rigore probatorio e valutativo che ha portato a escludere il concorso esterno e mandare assolti i fratelli imprenditori.
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