Da un’analisi anche superficiale dei contrassegni presentati al Ministero degli Interni per le elezioni politiche del 2022 balza all’occhio un dato che io ritengo assolutamente impressionante e sintomatico dello squilibrio dei poteri e nei poteri dello Stato determinatosi in Italia dagli anni ‘90 in poi. Ebbene, tra i simboli presentati ben due sono direttamente riferibili a Luigi de Magistris, ex pm di Catanzaro e già sindaco di Napoli, vale a dire Unione Popolare con de Magistris e Unione Popolare, insomma un ex pm per ben due liste.

Gli fa concorrenza un altro ex pm, Antonio Ingroia, con Azione Civile, anch’egli su posizioni di sinistra radicale, mentre a destra, almeno secondo quanto da lui dichiarato, ha tentato di collocarsi il celeberrimo ex pm Palamara con la sua lista Oltre il Sistema che però non è stata ammessa. Oltre ai partiti per così dire personali, spicca certamente la candidatura nei 5 Stelle dell’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho che segue in politica i suoi predecessori nella carica di procuratore nazionale antimafia. Non partecipa alla gara Catello Maresca, ex sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Napoli, sfortunato concorrente con una lista personale appoggiata dal centrodestra alla carica di sindaco della città partenopea nelle ultime elezioni amministrative che ha spiegato le ragioni della sua mancata partecipazione alla competizione con una lettera diffusa in rete in cui afferma di non essersi candidato nonostante le sollecitazioni degli aderenti alla sua associazione.

Insomma, in queste elezioni non abbiamo il partito dei magistrati ma addirittura una serie di partiti ma dei pm. Orbene, la prima circostanza che balza agli occhi è che si tratta sempre di pubblici ministeri in ogni possibile articolazione della loro carriera e che non vi sono appartenenti alla magistratura giudicante che appare in netto svantaggio, ed inoltre, con l’eccezione di Luca Palamara che ha una storia del tutto particolare, sono tutti schierati a sinistra e sono tutti di origine meridionale. Inoltre, bene o male, per specificità degli incarichi ricoperti e per provenienza territoriale, si tratta di pm provenienti dall’Antimafia, e questo significa due cose: la prima è che non è affatto vero che al Sud la mafia controlla la politica e la seconda è che il ceto politico non viene ritenuto idoneo ad arginare il fenomeno criminale che, comunque, almeno in termini “organizzati”, attualmente è molto meno incisivo di quanto si dice o si vorrebbe far credere, almeno in ambito politico. Detto ciò, è evidente che quello politico è un “mercato” e come tale soggiace alle sue regole in cui, come in tutti i “mercati”, conta la pubblicità e la “spendibilità” del prodotto”.

In questo i pubblici ministeri sono assolutamente soverchianti anche rispetto ai loro stessi colleghi giudicanti, per non dire rispetto agli avvocati che sono per lo più ridotti al ruolo di mere onnipresenti comparse. Come può parlarsi di principio di parità delle parti del processo fra loro se l’accusa gode di tanto potere su tutto e tutti? Anche per poter solo pensare di organizzare una lista o per essere candidati da un partito occorre un seguito e dei mezzi, in altri termini occorre potere che si trasforma in consenso elettorale. Tutto ciò può sembrare ovvio ma spesso sono proprio le cose ovvie che sfuggono, e allora occorre chiedersi quale sia la fonte di questo potere che risale ad Antonio di Pietro, anche lui ex pm ed alla sua Italia del Valori. In questa sede io non intendo assolutamente contestare il diritto dei pm persone fisiche ad essere presenti in politica ma soltanto analizzare le ragioni della loro oggettiva appetibilità che a me pare evidentissima, cui si è sommata la geniale intuizione di Gianroberto Casaleggio che fu prima al fianco di Antonio di Pietro e che poi, conservandone ampiamente i contenuti insieme a Beppe Grillo, si è per così dire “messo in proprio” ponendo le basi del Movimento Cinque Stelle.

Insomma, anche la politica in Italia è dominata dalla pubblica accusa e, negli ultimi anni, il suo strumento è stata assai spesso la “rete”. Ma quali sono le ragioni della popolarità e, quindi, del potere dei pubblici ministeri? Io credo che la risposta a questo interrogativo sia molteplice. Penso che le masse siano cronicamente affette da una sorta di isteria neo-giacobina e che, per questa ragione, siano sempre alla ricerca di un angelo vendicatore che le difenda da ogni male supposto, reale o anche solo temuto, angelo vendicatore che nell’Italia di oggi ha finito con identificarsi con la pubblica accusa e non, come pure sarebbe naturale, o almeno come accadeva dai tempi della rivoluzione francese nell’avvocatura in cui gli ex pm saltano continuamente a piè pari. È come se nell’Italia degli ultimi decenni si fosse imposto un inedito modello politico di stampo neo-Trotzkista che definirei di rivoluzione giudiziaria permanente, il cui inaspettato strumento è stato il codice di procedura penale del 1989. Il Codice Vassalli, secondo la mia convinzione, con gli amplissimi poteri attribuiti alle Procure, è stato all’origine del radicale mutamento che ha destabilizzato la società sia tra i poteri dello stato che al loro stesso interno.

Basta vedere cosa accade quotidianamente nelle aule di giustizia dove i giudici attendono quietamente l’arrivo degli impegnatissimi pm per iniziare i processi e, per lo più, non considerano minimamente anche la sola presenza degli avvocati, difensori degli imputati o delle parti civili non rileva. Nel codice di procedura penale del 1989, inspiegabilmente tuttora adorato dall’avvocatura, la polizia giudiziaria, quindi il potere amministrativo diretta promanazione di quello politico, è stato messo sotto la direzione del pm, poi si è sommato un rito processuale assolutamente insostenibile per le difese per la sua farraginosità e per la scarsità di mezzi disponibili ed un’evidente rapporto preferenziale tra informazione e Procure. Tutti questi fattori sommati tra loro, unitamente a clamorosi fatti di cronaca che hanno colpito il nostro Paese, hanno determinato la forza e quindi il consenso raccolto dai pm. Insomma, è il “sistema” che ha generato questo stato di cose e non i singoli attori che vi compaiono. In ogni caso un fatto è certo, piaccia o non piaccia, le cose stanno in questo modo e certamente il ceto politico non sembra, almeno per ora, possedere la forza, il coraggio ed i mezzi anche culturali per riequilibrarlo.