E’ la sua partita più difficile: per la prima volta “minoranza” nella sua casa, quel centro destra che volle inventare quasi trent’anni fa – correva l’anno 1994 – e dove adesso si stanno ribaltando ruoli e priorità fino a diventare destra-centro. Il Cavaliere è di nuovo in campo consapevole che questa partita potrebbe non prevedere il pareggio. Quando è proprio il pareggio il suo vero obiettivo: raggiungere quel 10-12 per cento che gli consentirebbe di abitare la casa senza sentirsi ospite. E di chi poi? Di due suoi “allievi” e di quell’estremismo che poco o nulla c’entra con la casa liberale che è sempre stata Forza Italia.

In questa chiacchierata nel primo giorno utile dopo la corsa per depositare simboli e liste, è chiaro lo sforzo di Berlusconi di tenere distinta l’identità di Forza Italia dalle altre forze della coalizione, di sottolineare la natura liberale ed europeista degli azzurri quasi a prendere le distanze dagli altri. Ammette che il candidato premier sarà indicato da chi prende più voti. Fino ad allora, però, non darà nulla per scontato. Traspare, nell’intervista, il rimpianto di non aver fatto quella rivoluzione liberale che l’Italia si aspettava da lui. Chiama per nome Salvini. Ma non Giorgia Meloni.

Depositati simbolo e liste. Qual è il punto forte della lista di Forza Italia? E quale la cosa che le è costato di più fare?
“A proposito di simbolo, voglio ricordare che quest’anno nel nostro simbolo c’è una novità: il richiamo esplicito al Partito Popolare Europeo, che noi orgogliosamente rappresentiamo in Italia. Lo sottolineo perché definisce la nostra identità: il centro, cristiano e liberale, garantista ed europeista, alternativo alla sinistra e distinto dai nostri alleati di destra. L’unico centro possibile con un ruolo politico vero. Quanto alle liste, devo dire che i dirigenti di Forza Italia hanno fatto su mio incarico un lavoro eccellente. Le nostre liste comprendono parlamentari esperti di grande qualità e volti nuovi, espressione della società civile. Vorrei ricordare fra questi Rita Dalla Chiesa, volto televisivo ma anche simbolo del senso dello Stato e della lotta alla mafia, il Presidente dei Piccoli e Medi imprenditori Maurizio Casasco e la campionessa olimpica Valentina Vezzali. Tutto questo perché Forza Italia è nata anche per poter fare rinnovare la politica e per farlo deve sempre rinnovare prima di tutto sé stessa. Una cosa accomuna tutti i nostri candidati: sono donne e uomini che, come me, hanno saputo dimostrare nella vita e non solo in politica, capacità di lavoro, coerenza, onestà, rispetto degli impegni presi. Naturalmente per effetto della riduzione del numero dei parlamentari si sono dovute compiere scelte difficili, ma sono certo che la crescita di Forza Italia, già in atto, darà spazio anche a chi si è candidato nelle posizioni più difficili. In ogni caso l’impegno di tutti sarà valorizzato adeguatamente”.

Cominciamo dalla giustizia, una delle sue ultime pillole rilancia una sua battaglia storica sulla riforma dei processi. A proposito, quante pillole ha previsto?
“Una al giorno, e mancano 30 giorni esatti alla fine della campagna elettorale. Ogni giorno daremo agli italiani una ragione in più per la quale è nel loro interesse andare a votare e naturalmente votare Forza Italia. Oggi quasi il 50% degli elettori minaccia l’astensionismo. Un comportamento autolesionista e che diventa anche un disastro per la democrazia”.

Torniamo alla giustizia. Per Forza Italia è dirimente la separazione tra giudici e pm. Non crede che prima di tutto sia necessario intervenire sul processo: procedure da velocizzare, codice penale da riorganizzare e ridurre, tempi certi del processo e due gradi di giudizio?
“Sono assolutamente d’accordo, salvo un aspetto. I tre gradi di giudizio sono una garanzia importante. E non accetteremo mai una riduzione delle garanzie per il cittadino, innocente fino a prova contraria. Quanto ai tempi dei processi, fa parte del nostro programma riportarli nella media europea. Una giustizia troppo ritardata non è giustizia, in nessun caso. Però una riforma organica della giustizia deve comprendere anche la separazione delle carriere e l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione”.

Sulla giustizia il suo programma è praticamente identico a quello del Polo del buon senso, Renzi e Calenda. E non solo sulla giustizia. Rimpianti di non aver dato vita ad un centro moderato, liberale e riformatore?
“I rimpianti dovrebbero averli loro, perché si sono condannati all’irrilevanza, oltre che al ridicolo di alleanze concordate un giorno e disdette il giorno successivo. Ho detto e ripetuto che le nostre porte erano aperte a chi avesse voluto creare un vero centro liberale. Ma evidentemente il loro intento non era questo”.

Lei ha sempre teorizzato la necessità di uno Stato meno invadente e più efficace, non esattamente la linea di Fratelli d’Italia. Perchè non parla più di spending review e tagli alla spesa pubblica?
“Non è così. Tagliare la spesa pubblica è importante perché significa restringere il perimetro della presenza dello Stato, in particolare nei settori inefficienti dell’economia. La sinistra al contrario ha sempre voluto allargarla”.

Io infatti parlavo di Fratelli d’Italia e Lega con cui si è alleato e che vogliono dettare la linea su questo. Comunque portare le pensioni a mille euro costa circa 28 miliardi. La flat tax, a seconda delle aliquote che vorrete prevedere, costa dai 40 ai 60 miliardi. Le ultime stime del Sole 24 ore dicono che la legge di Bilancio che il nuovo governo dovrà varare dovrà sostenere circa 40 miliardi di spese fisse tra cuneo fiscale (4.5 mld), pensioni (6 mld), rinnovi del contratto del pubblico impiego (5 mld), sconti in bolletta (8 mld), missioni e armamenti (2 mld), la frenata del pil altri 15 miliardi. Dove pensa di trovare le risorse per pensioni e flat tax?
“Le coperture alla nostra politica fiscale, basata sulla flat tax con un’aliquota molto bassa, non vengono solo dai tagli, ma dal recupero dell’evasione e dell’elusione, insito nella flat tax, e soprattutto del meccanismo di crescita che si innesterà. Nell’America di Reagan, al terzo anno di questa politica le entrate dello Stato erano cresciute del 30%, all’ottavo anno erano raddoppiate. Naturalmente siamo persone responsabili, attente ai bilanci pubblici e ai vincoli europei. Da imprenditore, sono abituato da tutta la vita a fare i conti con le risorse davvero disponibili. Non abbiamo promesso di fare il giorno dopo le elezioni tutto quello che è nel nostro programma. Questa sarebbe demagogia e populismo, che davvero non ci appartengono. Procederemo per gradi, man mano che la crescita innescherà un processo virtuoso che farà bene a tutti, famiglie, imprese, occupazione, entrate dello Stato. Nei cinque anni, ma io spero anche prima, avremo realizzato una vera rivoluzione”.

Cosa propone per combattere l’evasione fiscale?
“Se lo Stato ci chiede di pagare circa un quarto di quello che guadagniamo con onestà e fatica, dal nostro lavoro, per far funzionare i servizi e aiutare i più deboli, tutti noi lo sentiamo come giusto. Se ci porta via il 50% lo viviamo come un furto, se è il 60%, come spesso accade, addirittura come una rapina. Ma non è solo una questione morale: noi proponiamo un’aliquota del 23%: rischiare gravi sanzioni, che fra l’altro aumenteremo, per risparmiare così poco sarebbe davvero senza senso. Ecco perché la flat tax ovunque è stata applicata ha fatto emergere molta evasione e molto sommerso. E poi essendo un sistema molto semplice, i controlli anti elusione sono più facili”.

Vivace dibattito sul Pnrr. Da cambiare o da portare avanti così com’è e il più in fretta che si può?
“Con minimi aggiustamenti, da mandare avanti più in fretta che si può. Considererei gravissimo perdere risorse che io stesso, lavorando in Europa con grande impegno, ho ottenuto per l’Italia, convincendo i principali leader del PPE”.

Lei ha voluto indicare nel simbolo il logo del Partito popolare europeo, la sua famiglia europea. Come fa ad allearsi che chi guida i Conservatori europei, flirta con Vox in Spagna, con il Pis in Polonia e con Le Pen in Francia?
“Siamo alleati, appunto, ma siamo partiti diversi, con storie e culture politiche diverse. Se avessimo la stessa opinione su tutto, saremmo un partito unico. Ciò detto, nel centro-destra italiano non esiste nulla di assimilabile a partiti estremisti o sovranisti di altri paesi europei”.

Presidente Berlusconi, lei nel 2009 aveva quasi il 70 per cento dei consensi. Ma preferì concentrarsi sulla giustizia anzichè sulla rivoluzione liberale per cui gli italiani l’avevano votata. E che non è più stata fatta. Tornasse indietro rifarebbe tutto o cambierebbe qualcosa?
“La politica non si fa con i se. Alleati sleali e una vergognosa manovra politico giudiziaria – forse innescata proprio da quel consenso così alto – mi impedirono di realizzare la rivoluzione liberale, della quale peraltro, la riforma della giustizia è parte essenziale”.

Sarà Presidente del Senato?
“Assolutamente no”

Giorgia Meloni sarà premier se Fdi sarà il partito più votato della coalizione?
“Abbiamo deciso che il premier sarà proposto al Capo dello Stato da chi ha più voti e a tale regola ci atterremo lealmente in ogni caso”.

Nel 2018 disse che Salvini era l’uomo che sapeva concludere a rete. Lo pensa ancora?
“La mia stima per Matteo non è mai cambiata”.

Carlo Calenda dice che dopo aver votato, tempo sei mesi e le due coalizioni non ci si saranno più. Che ne pensa?
“Con tutto il rispetto per il dottor Calenda e per le sue battute, io mi sto occupando di questioni più importanti”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.