È iniziata ieri la nuova Trattativa di Roberto Scarpinato, entrato per meriti, insieme a Federico Cafiero de Raho, tra i 15 candidati prediletti dell’avvocato Giuseppe Conte per le prossime elezioni del 25 settembre. Nel listino bloccato entrano solo coloro che, “in ragione dell’esperienza maturata e dei ruoli che hanno ricoperto o ricoprono, assicureranno quella continuità di azione e di esperienza necessaria per affrontare la nuova legislatura”.

Il che è interessante anche a prescindere dal fatto -ma non è una novità nel mondo in cui di stelle non ne brilla neppure una- che ormai il concetto di uno vale uno è stato asfaltato. È invece affascinante, e preoccupante, il riferimento alla continuità di azione cui dovrebbero dedicarsi, in Parlamento, due ex procuratori “antimafia” che hanno lasciato, con il pensionamento di pochi mesi orsono, due poltrone calde come il vertice della Procura nazionale antimafia e la Procura generale di Palermo. Ah, ci fossero ancora Leonardo Sciascia e Pierpaolo Pasolini, a commentare il fatto! Così ci dobbiamo accontentare di Marco Travaglio, che nella sua tessitura di lodi di uno dei suoi principali collaboratori al Fatto quotidiano, Roberto Scarpinato, dimentica i giorni in cui l’ex procuratore generale fu costretto ad andare in pensione con le orecchie basse dopo le assoluzioni del “Processo trattativa” e non nomina neppure per sbaglio l’inchiesta “Mafia appalti”.

Quella che stava a cuore a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che fu archiviata tre giorni dopo la strage di Capaci e che è stata di recente riaperta dalla Procura di Caltanissetta. Così, essendo scontato il responso degli iscritti del Movimento cinque stelle, che ieri votavano sui candidati fino alle ore 22, vedremo più o meno tra un mese i due alti magistrati alla Camera o al Senato. Sembra un po’ la storia dei dirigenti sindacali, che vanno a chiudere le loro carriere in Parlamento, quasi ci andassero a morire (politicamente) come fanno gli elefanti. E in genere, con poche eccezioni come quella di Fausto Bertinotti, lasciando scarsa traccia di sé. Sembrava ormai finita la stagione delle toghe in Parlamento, ma si sa che il mondo grillino arriva sempre in ritardo, e malamente, su tutto. Ed è un peccato che a ricevere i due illustri personaggi non ci sia più il loro ex collega Luciano Violante. Che potrebbe accoglierli leggendo loro la prima pagina del suo bellissimo giallopolitico (Notizie della signora Marthensen?, Marsilio), in cui il vecchio procuratore fa la lezione al giovane, che non a caso arriva dalla Sicilia dove ha svolto un ruolo importante nell’antimafia.

Prima gli spiega che «Non siamo gli angeli della Repubblica, né i custodi delle virtù dei cittadini. Siamo incaricati di scoprire i responsabili di reati sulla base di notizie non manifestamente infondate. Non attraverso libere iniziative. Ma attraverso regole che per noi sono vincoli insuperabili». E poi ancora, e sembra echeggiare le parole di Giovanni Falcone, «Non si parte dal teorema per poi cercare il fatto; noi dobbiamo partire dai fatti e stare sempre sui fatti, senza teoremi. Le classi dirigenti sono immorali? Ci penseranno i confessori. Sono inadeguate? Ci devono pensare i cittadini al momento del voto. I singoli commettono reati? Deve pensarci la magistratura. Questa è la democrazia e questa è la Costituzione, mio caro collega». Poiché la storia politico-giudiziaria degli ultimi trent’anni si è diretta nel versante opposto alla lezione del procuratore Tommasi, non vorremmo che l’ossessione di dover riscrivere la storia italiana come pura storia criminale, e di vedere quella delle regioni del Sud solo con gli occhi giudiziari, trasmigrasse tout court dalle Procure al Parlamento, attraverso quel sogno di continuità che pare farina del sacco di Travaglio più che di Conte.

Lo scorso gennaio, pochi giorni dopo il pensionamento, Roberto Scarpinato, un po’ ammaccato per quella sentenza d’appello che con le assoluzioni del generale Mori e gli uomini del ros insieme a Marcello Dell’Utri, aveva messo in ginocchio l’intera antimafia siciliana con le sue ossessioni, aveva affidato alle colonne del Fatto una sorta di testamento, dal titolo “Stragi, depistaggi ancor oggi: li accerti chi viene dopo di me”. Seguiva, dopo un malinconico “chiudendo la porta alle mie spalle”, un agghiacciante elenco di fatti sconfitti dalla storia, ma ricostruiti come se fossero state vittorie. Si va dall’orgoglio di aver “sottoposto a giudizio Presidenti del consiglio, ministri e vertici dei servizi segreti” (ma senza dire come sono finiti i processi), fino a fallimenti storici dell’antimafia siciliana. Come quel polpettone chiamato “Sistemi criminali” archiviato nel 1998, fino all’imbroglio del “papello” di Totò Riina archiviato due anni dopo, e alla condanna per calunnia di Massimo Ciancimino che lo aveva inventato.

E poi la difesa strenua, contro la Corte Costituzionale che lo vuole abolire, dell’ergastolo ostativo. Con un bizzarro argomento, perché quella quindicina di boss mafiosi che conoscono la verità ”sui mandanti occulti delle stragi” non parlerebbero più. Come se Riina e Badalamenti si fossero mai fatti intimidire da un articolo di codice. Beh, tanti auguri, onorevoli Cafiero de Raho e Scarpinato. Speriamo che il soggiorno in Parlamento vi sia utile come lo è stato a Luciano Violante e Fausto Bertinotti.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.