Premierato e autonomia differenziata. Due leggi, due piazze in fiamme e due immancabili raccolte di firme di intellettuali, costituzionalisti, docenti ecc. Quella sul premierato addirittura parte con un grido strozzato, ‘non possiamo tacere’ e ci chiede di mobilitarci ‘finché siamo ancora in tempo’. Neppure sulla guerra nucleare si scomodano certi ultimatum. Contestare una legge si può. Si deve, nella democrazia che funziona. Ma contestare regolarmente il diritto di farla, rinunciando a discutere, è il segno di una patologia. Sembra non ci si possa far niente. Gli appelli di sapore resistenziale piombano immancabili su ogni passaggio a forte valore simbolico. Ma gli intellettuali, in una società libera, non dovrebbero aiutare a pensare, piuttosto che fungere da guardia armata di continue presunte lesioni alla Costituzione? Sono intellettuali o militari?

Il premierato e l’autonomia differenziata hanno molti aspetti che non convincono. Servirebbe un progetto di interventi concreti che però non si sposa con il trionfalismo meloniano o leghista e, all’opposto, con appelli che delineano un’Italia con il Parlamento ridotto e portavoce del governo e il Presidente della Repubblica a un notaio, e non solo non conta più nulla nel mondo, ma si scompone in “staterelli preunitari” rassegnandosi ad una nuova era di “dominazioni straniere’’. Nessun percorso politico diventa concepibile, se ogni volta la protesta diventa un urlo di Munch, e se la profezia è la rapida trasformazione dell’Italia in un paese “senza contrappesi e controlli” e “un Arlecchino ripiegato su se stesso’’. Sul premierato, in realtà, ci sarebbe da lavorare sodo, per rendere il sistema più chiaro ed equilibrato. I punti oscuri sono ancora molti, e ne parla esaurientemente Stefano Ceccanti nell’intervista che accompagna questa analisi. Si può pensare a sistemi di ‘check and balance’ rispetto ai poteri del premier eletto dai cittadini. Agli stessi cittadini si possono dare più ampie facoltà di intervento, rivedendo il meccanismo dei referendum propositivi e abrogativi. Inoltre si possono immaginare forme più incisive di controllo delle attività di governo, di trasparenza e di accountability.

Sull’autonomia differenziata, è fin troppo facile ricordare agli appellanti che l’origine di ogni ripensamento dell’impianto costituzionale è nella famosa Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Un pacchetto di norme con cui si decentralizzarono numerose competenze alle regioni. Ma la vera novità fu la modifica dell’articolo 116, con cui si sancì che le Regioni ordinarie potessero richiedere ‘’ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia’’. In quel caso non si levarono alte grida. Forse perché l’autonomismo regionale può essere letto anche in termini di maggiori responsabilità, creando una corrispondenza diretta fra entrate e azioni amministrative? Forse perché la lotta al centralismo statale ha le sue ragioni? No. Semplicemente perché al governo c’era la sinistra. Scrivere appelli o cantare in aula l’inno di Mameli ti riempie il cuore.

Cosi come è commovente fare proclami sul popolo contrapposto al palazzo o sul sogno del nonno di Calderoli che si realizza. Ma la realtà è un po’ più prosaica: queste riforme andrebbero condivise, perché così funziona una democrazia matura. I tempi della loro attuazione non per caso sono sufficientemente lunghi. Il premierato va inserito in un nuovo quadro istituzionale tutto da definire, e la concessione di ‘’una o più forme di autonomia’’ è subordinata alla fissazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni). Sono questi i criteri che contano per la vita dei cittadini, perché stabiliscono quali sono gli standard delle prestazioni pubbliche da cui dipende la qualità della loro vita. Su tali punti che dovrebbe intervenire la grande assente di questa interminabile stagione di demagogie a confronto, cioè la politica. Invece, sembra che la risposta sarà il referendum: un’altra volta bianco contro nero, guelfi contro ghibellini, Inter contro Juventus. Un’altra volta ‘si’ contro ‘no’.

Sergio Talamo

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