Il vero campo largo della campagna elettorale lucana è stato quello fotografico. C’era una certezza alla vigilia del voto, gli incerti, che non hanno deluso e sono rimasti, appunto, incerti, disertando le urne. Il che, considerando i numeri lucani, ha trasformato il test elettorale (vinto dal centrodestra con la riconferma di Vito Bardi) in una partita per pochi consegnati all’immancabile misurometro del consenso delle gallery social con la giusta inquadratura delle piazze e delle sale. C’è chi cerchiava le teste o controfotografava dall’alto per sbugiardare i pienoni. Certo la sala del cinema Guerrieri di Matera era più piena quando hanno proiettato la prima di James Bond che si arrampicava nei Sassi che non quando è venuto Giuseppe Conte, in perfetta armocromia pantone leisure time dalle scarpe al girocollo, e si capiva che le folle dei primi meet up erano solo un ricordo (Matera è stata tra le prime e più agguerrite piazze grilline, materano è l’ex senatore stellato Petrocelli che votò contro l’invio delle armi all’Ucraina).

Curiosamente le sciabolate più affilate, in questa regione considerata piccola ma che è più grande, ad esempio, della Liguria, povera, ma non lo è affatto, raccontata come semisconosciuta invece è stata capitale culturale europea, le sciabolate, dicevamo, si sono curiosamene spostate altrove, impugnate da singoli più che da aree politiche, tra video dirette di strada e coup de theatre attoriali, affidatari del racconto a mezzo megafono dell’agenda dei problemi lucani. A volte seri, altre volte esilaranti come un’intervista sul digital divide a una simpatica novantenne di Filiano, di fronte al portone della casa dove è nato Bardi. Si sono visti tutti i leader di partito, in quattro settimane, tra Potenza e Matera, certo non lasciati mai soli dai fedelissimi, venuti a dare ossigeno ai rispettivi schieramenti, come in Sardegna e in Abruzzo, per un test utile non solo per verificare la tenuta delle bandierine sulla mappa della geografia politica della maggioranza di Governo ma per almeno altre due novità: l’area centrista riformista tutta spostata a destra, con Azione e Italia Viva a supporto del generale Bardi e la new entry dei cattolici di “Basilicata casa comune” di Angelo Chiorazzo, signore della sanità, a lungo candidato alla presidenza, fatto fuori dai Cinquestelle e rimasto a capo della sua lista a sinistra con l’ambizione di allargare il movimento ad altre regioni italiane. Ha avuto e ha la benedizione del Vaticano e gode della stretta amicizia del francescano più social e televisivo che c’è, Padre Enzo Fortunato, direttore della comunicazione della Basilica di San Pietro, col quale sta organizzando la Giornata mondiale dei bambini oltre il Tevere.

Il campo largo del centrodestra

Dopo quello fotografico è stato il “campo largo” di centrodestra a vincere le elezioni in Basilicata. I lucani hanno confermato la fiducia al Governatore uscente, Vito Bardi, generale della Finanza in pensione voluto cinque anni fa da Berlusconi e poi sempre sostenuto in quota Forza Italia. Il competitor di centrosinistra, Piero Marrese, sindaco di Montalbano jonico e presidente Pd della Provincia di Matera, si è fermato più indietro, come era nell’aria. Il terzo candidato, Eustachio Follia, giornalista materano (basta la parola, anzi il nome, Sant’Eustachio è il patrono di Matera e c’è chi ha pensato di incentivare con un bonus l’uso del nome) racimola con Volt una presenza di testimonianza con una battaglia progressista molto concentrata sul tema dei giovani e della formazione universitaria.
Nel tardo pomeriggio una folla di giornalisti, staffer, supporter e dipendenti regionali affollano il salone a piano terra del palazzo regionale, (è la sala intitolata a Gregorio Inguscio, il consigliere regionale di Rifondazione comunista, emigrato bambino da Montalbano Jonico, poi tornato e scomparso prematuramente), il risultato elettorale sembra già delineato. Fuori fa freddo, Potenza è il capoluogo di regione più alto d’Italia, sì, più di Bolzano, lo capisci dall’agrifoglio sempre verde che ogni tanto spunta dietro ai palazzi. Qualche inviato pensa alla scia dell’ondata artica in corso ma in realtà qui frescheggia almeno fino alla fine di maggio. La mobilità di chi attende lo spoglio è concentrata in pochi passi, dal palazzo regionale al dehors della caffetteria di fronte, la Milanese, luogo di densa concentrazione e relazione politica. Ancora qualche ora e si saprà quali sono le nuove forze in campo e quali contrappesi avranno le tre stampelle classiche del centrodestra con i nuovi arrivati prima in fuga dal Pd e poi dal centrosinistra.

Pd allo sbando cede ai capricci del M5S

Non era facile giustificare il supporto dato a Bardi da Azione di Calenda, con in campo l’ex governatore Pd Marcello Pittella, e da Italia Viva con i due consiglieri regionali uscenti, entrambi ex Pd, Mario Polese (è stato segretario regionale) e Luca Braia (puntava ad esserlo), in campo con la lista “Orgoglio lucano”. Nessun problema sulla scelta di escludere il simbolo, si può fare, è venuto a spiegare direttamente Matteo Renzi, ma solo alle regionali. Non era facile soprattutto per Marcello Pittella giustificare il passaggio nelle truppe del Generale. Per Pittella una questione politica lontana nel tempo, da quando aveva vinto le primarie (contro Piero Lacorazza, ricandidato in quota Pd) e le elezioni nel 2013, lui di famiglia e fede socialista mal digerito dai capi partito biancorossi che hanno governato la Basilicata per un trentennio. I guai giudiziari di Pittella, poi risolti, erano stati un ulteriore elemento per marginalizzarlo e tenerlo fuori dalle trattative per la scelta del candidato di centrosinistra trasformate in una vicenda goldoniana che ha divertito l’Italia, con la margherita sfogliata da Chiorazzo, “mi candido non mi candido”, l’oculista Domenico Lacerenza spinto in campo a sua insaputa, un croniniano Pd che è rimasto a guardare i capricci del M5s, ha alzato la voce contro il duo dem, degno di una sceneggiatura, “Baruffi e Taruffi” delegati dalla segretaria, scappati mentre volavano le sedie, e alla fine si è stretto attorno a un serio e giovane amministratore, Piero Marrese. Non è bastato a sanare l’idea di una comunità smarrita e di un gruppo dirigente allo sbando. Pur cedendo alla volontà di Conte che l’ex ministro della salute, Roberto Speranza, anglopotentino, non è riuscito a piegare a favore di Chiorazzo, il partito di Schlein (che ha fatto una simbolica conferenza stampa nel parcheggio dell’ospedale a Matera) ha dovuto giocare al recupero giorno dopo giorno, riscaldandosi, in una sera, ovviamente fredda, a Potenza, con le parole dell’inossidabile Bersani.

Il trasporto pubblico in elicottero

Ma, come si sa, le campagne elettorali sono fatte per ripassare la teoria della relatività, o meglio, del relativo. E così la forza e le debolezze di una regione molto strategica per il Paese soprattutto per l’apporto delle risorse energetiche (abbondano le rinnovabili oltre ai giacimenti di idrocarburi in Val d’Agri e a Tempa Rossa) ma con una demografia drammaticamente decrescente, si sono frullate, anche a colpi di prime pagine sui giornali locali, a seconda dei punti di vista più convenienti alla causa. Sanità, scuola, infrastrutture, energia, autonomia differenziata, lavoro, programmi seri da continuare, secondo Vito Bardi, quattro lauree in curriculum. Solo un libro dei sogni per i suoi oppositori con l’immancabile accusa di svendere la Basilicata ai voleri di Roma e di raccontare un sacco di balle, come l’idea di muoversi in elicottero mentre non si completeranno le altre infrastrutture. Lo ha proposto sul serio in una riunione elettorale a Policoro, spingendosi anche sui prezzi dei biglietti. Magari sarà vero, sappiamo che gli eliporti in Basilicata sono da monitorare. Ma quello che davvero non gli si perdona è di essere un lucano troppo napoletano. Un curioso disconoscimento di patria che in altre circostanze si sovverte in un tripudio di rivendicazione identitaria, in genere capita per i lutti di lucani famosi che hanno avuto successo sotto il Vesuvio, meno di duecento chilometri più a nord di Potenza. L’avvocatissimo Enzo Maria Siniscalchi o l’ex presidente dei notai, Giancarlo Laurini, le ultime perdite del pantheon dei partenopei lucani che “non avevano mai interrotto il legame con la loro terra”. Legame che, chissà perché, il generale Bardi avrebbe interrotto. Non proprio una visione da “città mondo”, come s’era immaginato all’indomani delle contaminazioni portate in dote dall’esperienza di Matera2019. Lui, il generale, sempre attento e misurato, stavolta non se l’è tenuta e ha rilanciato su Speranza, eletto a Napoli e ormai romano. Il quale Speranza, dopo aver fatto di tutto per evitare una candidatura, si è tenuto alla larga anche dai palchi, preferendo rimanere, giù, tra la gente. Si è visto venerdì sera, ghiacciato con l’ex sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, in una sperduta contrada rurale a fare voti per un candidato, quelle contrade del capoluogo finite in una categoria concettuale elaborata solo qui, quella dei “non metanizzati”, per indicare chi vive dove la rete del gas non c’è e dunque non è titolata a beneficiare del bonus energetico. Sono le famiglie che però hanno avuto un’alternativa e si sono avviati, loro malgrado, sulla strada della transizione energetica. Mance elettorali, hanno detto ed è passata così, come il bonus idrico, perché in fondo è faticoso mettere insieme i pezzi e ricostruire i fatti: tutto risale, in realtà, a trattative addirittura precedenti alla guerra in Ucraina, quando cioè la crisi energetica era ancora lontana.

La rete da tenere d’occhio

La campagna elettorale non l’ha persa d’occhio la premier, Giorgia Meloni, venuta due volte in Basilicata, la prima per firmare l’accordo sui fondi di coesione (quelli, per intenderci, che stanno facendo impazzire De Luca in Campania) e la seconda per consacrare una vittoria annunciata che ha richiamato sullo stesso palco alla vigilia del voto tutti i maggiorenti del centrodestra, perché a nessuno sfuggisse la propria quota. C’erano anche Rotondi e Cesa che, da buoni democristiani hanno omaggiato Emilio Colombo. Nessuno si è spinto fino a Nitti. Mentre molto gettonato è rimasto Scotellaro, tirato sempre di qua e di là, al pari – non sia un’ingiuria – dei cruschi, complice il fatto che il paese di Chiorazzo è proprio la patria della strepitosa qualità di peperoni sbandierati da Salvini come prodotto da tutelare contro le farine d’insetti, da Renzi, che ne ha avuto una busta in regalo, per una battuta contro il re delle coop bianche, “c’è anche del buono a Senise”. Se proprio si volesse dare una patente di lucanità bisognerebbe spingere i più audaci alla prova cottura, una frazione di secondo nell’olio bollente e si rischia già di carbonizzarli. Non è semplice la Basilicata.
Non è sfuggito che per ben due volte è venuto in Basilicata anche il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto. Nelle liste di Forza Italia era candidato Francesco Cannizzaro (il più votato alle comunali di Potenza, città che si appresta a tornare alle urne) trasmigrato per accordo romano dal partito di Lupi (Noi moderati) e cugino dell’omonimo plenipotenziario deputato forzista di Reggio Calabria, stampella forte di Occhiuto per la concentrazione dell’eredità di Berlusconi a Sud. Una rete da tenere d’occhio perché arriva con rapporti familiari anche in Sicilia e che potrebbe riservare sorprese e aggiustamenti dopo le Europee. E in gioco la leadership politica del Mezzogiorno, che va oltre le appartenenze di schieramento, tutta da costruire con la crisi di Emiliano in Puglia e la contraerei governativa a ogni mossa di De Luca in Campania. Non è un caso che sull’autonomia differenziata proprio Occhiuto abbia una posizione non scontata e non ossequiosa alle direttive di Governo, oltre a seguire una sua personale politica arrivata a scippare un mito fondativo alla sinistra, con la chiamata di medici cubani per aggiustare la sanità calabrese. Sull’autonomia ha provato in extremis a smarcarsi anche Bardi, né favorevole né contrario.

Un ministro a scuola dopo 30 anni

Oggi sarà il giorno del trionfo e della delusione dei singoli candidati, per capire chi è dentro e chi è fuori, per misurare la tenuta della Lega, l’avanzata di FI e l’effetto Meloni sui numeri di FdI. Si conteranno i centristi per capire se sono stati determinanti per la vittoria e sarà già tempo di capire come ricompattare le truppe a sinistra in vista degli imminenti ulteriori appuntamenti elettorali, le europee e le amministrative di giugno. La Basilicata riparte da dove si era fermata, tornano in classe gli studenti, ce n’erano per fortuna ancora alla Busciolano di Potenza, i piccoli delle elementari, felici e inconsapevoli, chiamati a raccolta con le bandierine tricolori e le canzoncine ad accogliere Valditara. Gli hanno detto – al ministro – che erano trent’anni che non veniva un titolare dell’istruzione in Basilicata. Può essere, ma questa è una regione che ha abituato i suoi cittadini a dare più che a chiedere, anche in termini di proposte progettuali, politiche e sociali. Quando ancora la digitalizzazione non era uno degli investimenti strategici del Pnrr arrivò un computer in ogni casa, per volere di un altro generale. Lo chiamavano così, il presidente Filippo Bubbico, perché si mise alla testa della rivolta di Scanzano contro il deposito delle scorie nucleari. Che restano in agguato. Alla fine le porteranno qui, temono. E chi combatterà stavolta? Intanto Bardi ha rispolverato la divisa da comandante delle Fiamme Gialle per una foto dedicata, sabato, a Gisella, la moglie. Sullo sfondo i faraglioni di Capri, mannaggia, erano meglio le Dolomiti lucane. Lo ha fatto, comunque, anche Marrese, ha ringraziato moglie e figli, tre. Da sinistra la voce di una combattiva insegnante democratica della Val d’Agri, Antonella Marinelli: «Che noia mortale. Le donne viste sempre nel ruolo di affiancamento, sempre pronte al passo di lato. Tre candidati alla presidenza della regione e ancora una volta tre uomini. Una cultura maschilista che è davvero una piaga per il sud. Li senti i galli cedroni parlare di territori, di prossimità, di sanità, di lavoro, ma sempre con la grinta testosteronica di chi pensa di essere insostituibile».

L’Osso d’Italia che non si può cambiare

A palchi smontati e urne chiuse la tensione calerà, i giochi e gli interessi di potere proseguiranno con i loro rituali, ma la sensazione, imboccando la Basentana per andare verso la Jonica, nel tratto cioè dove il silenzio è più forte dei motori che transitano e luci sui calanchi d’argilla di notte non se ne vedono, che la Basilicata sia ancora il luogo più inatteso per intercettare il cambiamento. Com’è fatta non si può cambiare la Basilicata, Osso d’Italia dove, per dirla con Arminio, i paesi più ti avvicini e più si allontanano. Complicata nella rete dei servizi, hub energetico del Paese alla prova della grande transizione (terreno ciclico di scontro), sempre più povera di residenti, una regione che ha sperimentato la resilienza e la sostenibilità quando la raccolta dell’acqua nelle cisterne di Matera era una necessità, dove la grande vergogna si è ribaltata in una vittoria e dove oggi i giovani di Potenza, saranno anche pochi, ma provano a dare forma ai loro progetti con un titolo appena conquistato. Forse l’elicottero potrà continuare a permetterselo solo la presidente del Consiglio che l’ha utilizzato per atterrare al campo di Macchia Romana, nel capoluogo, ma in fondo è oziosa anche la storia della ferrovia a Matera perché ormai, come Venezia o come Amalfi, anche la città dei Sassi è tutta un B&B e soffre di overtourism. La ricetta per il futuro nessuno ce l’ha, la crisi dell’industria automobilistica di Melfi è una polveriera sociale, l’agroalimentare tiene e cresce, nel Metapontino si coltivano, e si esportano sempre di più, le fragole più buone d’Italia e poi ci sono le scelte, un’opzione certo, come quelle degli inglesi di Irsina che hanno deciso di vivere qui. Chiusa la campagna elettorale di ministri non se ne vedranno per un bel po’. Sarà il generale a doverli incalzare, sullo spezzatino del Pnrr. Così come i lucani dovranno incalzare lui sulle molte cose da fare. Se le farà, un week end a Posillipo gli si potrà pure perdonare.

Lucia Serino

Autore