Da oltre venti giorni è in corso in Iran una protesta anti-regime che si è estesa a 189 città con una repressione terrificante. Ieri l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha parlato di almeno 7 mila persone arrestate e 208 vittime, precisando però che i morti potrebbero essere il doppio. La Resistenza iraniana, infatti, traccia un bilancio ancora più drammatico: oltre 1000 morti, 4000 feriti, 12000 arrestati. Si tratta di dati raccolti grazie a una parziale riapertura di internet che ha permesso altresì di identificare 320 manifestanti uccisi. In questi momenti tragici della storia, dare un nome a chi è morto, documentare caso per caso, resta una delle forme di rispetto della dignità umana di fronte allo scempio che ne fanno le forze dell’ordine iraniane sparando alla testa o al petto dei manifestanti. È così che sono morti anche almeno 11 ragazzini. Una realtà che il regime iraniano cerca di nascondere, limitando l’uso di internet, rifiutando di restituire le salme alle famiglie o impedendo i funerali. Mentre l’ondata di arresti continua, le carceri di Teheran sono sovraffollate. In altre città gli arrestati sono detenuti in scuole o palazzi governativi. Esponenti della magistratura in varie province dicono di voler istituire corti speciali. Le massime autorità religiose invocano impiccagioni per i “sabotatori in guerra con Dio”. Questi annunci e proclami avvengono in un Paese in cui il ministro della giustizia e capo della magistratura è quell’Ebrahim Raisi che ha fatto parte della “Commissione della morte” responsabile dell’esecuzione di almeno 30mila militanti politici nel 1988.

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Molti Paesi occidentali, tra cui Francia, Germania, Norvegia, Olanda, Usa e Svezia, hanno condannato la repressione, quando l’Italia mantiene un rigoroso silenzio mentre oggi si chiude all’hotel Parco dei Principi la conferenza Roma MEDDialoghi Mediterranei dove avrebbe dovuto intervenire il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif su invito della Farnesina e dell’ISPI. Diciamo che Zarif ha avuto più senso delle cose di quanto ne abbiano il nostro ministro degli Esteri Di Maio e il presidente Conte, che lo avrebbero accolto di buon cuore. Perché oggi alla conferenza è previsto l’intervento di Seyed Mohammad Kazem Sajjadpour, presidente del think tank iraniano Ipis – Institute for Political and International Studies – noto a livello mondiale per negare la veridicità dell’Olocausto. Nel curriculum dell’Ipis non vi è solo la conferenza negazionista organizzata nel 2006 a Teheran, a cui centri di ricerca di tutto il mondo reagirono firmando una dichiarazione in cui si chiedeva di non accettare inviti da parte dell’istituto né di invitarlo. Vi è anche l’audizione alla Commissione esteri della Camera nel 2018, quando i ricercatori dell’IPIS definirono la creazione dello Stato ebraico un errore della storia, negando il diritto all’esistenza d’Israele. Nel comunicato stampa sul sito della Farnesina si legge che la conferenza Roma MED intende «contribuire ad affrontare le sfide e le opportunità del Mediterraneo “allargato”, valorizzando le grandi opportunità che offre attraverso lo sviluppo di un’agenda positiva». Quale può essere la credibilità dello sviluppo di “un’agenda positiva” se i popoli non sono considerati e i diritti umani sono negati?

Ecco perché il silenzio di questo Governo diventa una forma di complicità inaccettabile. Tanto più che l’Italia ha il merito, riconosciuto nel mondo, di aver fatto proclamare una moratoria delle esecuzioni capitali da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu grazie a una grande battaglia popolare. A tutela della credibilità del Paese, è urgente che il Governo prenda posizione sulla repressione in Iran e chieda una moratoria delle esecuzioni capitali insieme a una indagine internazionale. È evidente a tutti la necessità di un cambio di rotta rispetto all’Iran dei Mullah che non può continuare a essere considerato come una soluzione delle crisi regionali, di cui è esso stesso causa. Serve invece sostenere movimenti di opposizione iraniani che abbiano programmi ispirati ai principi universali di rispetto dei Diritti Umani e dello Stato di Diritto.