Lia Quartapelle, deputata del Partito democratico ed esperta di politica estera, è una delle figure più ascoltate dell’area riformista.

Dario Franceschini sostiene che, vista la scarsa partecipazione al voto, convenga puntare su posizioni nette, persino radicali. È d’accordo?
«Franceschini confonde la radicalità con l’estremismo inconcludente. Cosa c’è di moderato nel modo in cui il premier canadese Carney, ex banchiere centrale, ha contrastato i dazi di Trump? Oppure nelle proposte di Mario Draghi, non certo un rivoluzionario per biografia, per fare dell’Europa una vera e propria potenza? Radicale è oggi chi ha la capacità di agire, non di spararla più grossa. Giuseppe Conte, se è la persona a cui pensa Franceschini come candidato premier, incarna invece una linea trasformista e opportunista, che al momento è un pretendere tutto per non cambiare niente».

È l’epoca giusta per leader più radicali o più moderati?
«Papa Francesco diceva bene: viviamo un cambiamento d’epoca, non un’epoca di cambiamenti. Oggi i governi non possono tirare a campare o peggio rifugiarsi nel populismo spicciolo. Il nostro tempo richiede di analizzare la realtà, avendo chiari i valori di riferimento e la direzione, e anche la capacità di rimettersi in discussione. La cosiddetta terza via, cioè la ultima grande stagione di idee a sinistra, nutriva una fiducia troppo acritica nelle capacità autoregolatorie del mercato: oggi, di fronte allo strapotere delle big tech e agli squilibri prodotti da una globalizzazione travolgente, bisogna ricalibrare. Non è uno scontro tra moderati e radicali: ma tra chi accetta le sfide del presente e chi invece agita la carta del populismo pensando di passare la nottata».

Quindi non basta proclamare radicalità o moderazione…
«No. Se vogliamo vincere le elezioni dobbiamo dimostrare di essere pronti ad affrontare i grandi problemi del Paese: bassa crescita, produttività stagnante e salari al palo, enormi fragilità educative, welfare in affanno. Per riportare gli elettori alle urne occorrono serietà, pragmatismo e visione. Non devi appiccicarti un’etichetta addosso, ma dimostrare che sai rispondere alle preoccupazioni reali delle persone comuni, a chi ogni giorno fa fatica e guarda al futuro con ansia».

Il M5S ha avuto anni di centralità, stando all’opposizione e al governo. Non mi sembra che questo abbia allargato la partecipazione, sbaglio?
«Oggi l’astensione non riguarda solo persone ai margini, ma anche ceti medi istruiti e attivi. Non sono cittadini disoccupati, ma professionisti e lavoratori che partecipano alla vita sociale che ritengono la politica un teatrino che non ha intenzione di affrontare i nodi veri del Paese. Va riconquistata la loro fiducia».

Temi come il lavoro e i salari restano irrisolti.
«Non c’è solo il salario minimo. Oggi in Italia gli stipendi sono troppo bassi. Un medico o un poliziotto o un cameriere guadagnano troppo poco. Cresce l’occupazione ma cresce anche la povertà, perché si crea lavoro povero e di bassa qualità. Da anni – dai tempi del cuneo fiscale di Prodi – si interviene solo con defiscalizzazioni, come se l’unico modo per alzare gli stipendi fosse ridurre i contributi allo Stato. Ma così non si ragiona mai su produttività, competitività, qualità del lavoro».

Questa agenda può stare dentro il Pd di Schlein?
«Il Pd nasce per essere un partito di centrosinistra e di governo. Non si governa senza un Pd forte, che ha un’agenda di governo e riforme».

Serve un congresso per aprire questa discussione?
«Non è questione di contarsi ogni volta. I problemi sono enormi, non mi aspetto che la segretaria da sola abbia la soluzione pronta. Per questo serve più confronto vero. La direzione nazionale si è riunita l’ultima volta a febbraio».

L’Europa è al centro di due crisi: la guerra in Ucraina e il Medio Oriente. Quale linea dovrebbe avere il Pd?
«La pace non è scontata: occorre lavorare in Europa per rafforzare la difesa comune e il sostegno all’Ucraina. Sul Medio Oriente chi ha a cuore la pace e anche il futuro di Israele deve essere molto duro con Netanyahu, anche sostenendo le sanzioni proposte da Ursula von der Leyen e dalla maggioranza dei paesi europei».

Nel frattempo, cresce l’antisemitismo anche in Italia.
«È un dramma che si aggiunge alla tragedia di Gaza. Va contrastato con fermezza. Quanto accaduto a Pisa è agghiacciante e al professore coinvolto va la mia solidarietà».

Ha lanciato i Circoli Matteotti: con quale obiettivo?
«È un progetto avviato a Milano a maggio e oggi stanno nascendo circoli in altre 30 città italiane. Non sono una iniziativa di partito e non parteciperanno a elezioni: vogliono essere un luogo di confronto e di elaborazione politica sulle grandi questioni dell’oggi. Ragionare, agire, mobilitare. In un Paese dove gli spazi di discussione si riducono, in un tempo in cui serve ancora più confronto, i circoli rappresentano un laboratorio per tenere viva la voce riformista».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.