Paola De Micheli, ex ministra dei Trasporti e Infrastrutture, è deputata del Pd. All’ultimo congresso – vicina a Paolo Gentiloni e all’area cattolica – si è candidata segretaria, e ha saputo costruire con Elly Schlein un rapporto dialettico, «leale», tiene a dire. Senza cedimenti.

Il Pd consolida la sua crescita. Offre anche un’alternativa di governo?
«Su alcuni temi siamo stati anche molto profondi, nell’offrire un’alternativa. Sul reddito, per esempio, siamo tornati a parlare di politiche del lavoro. Sui contenuti, in termini di profondità, e sulle alleanze, stiamo cercando di costruire una proposta credibile. Vogliamo essere alternativi sulle idee e sulla visione, quindi capaci di vincere».

Il primo banco di prova saranno le regionali in primavera.
«Si stanno costruendo le coalizioni, in alcune regioni è più semplice, in altre più complesso, come in Campania. Per me la questione è la profondità della proposta di governo. Nelle regioni occorre gestire la sanità, con il governo che taglia le risorse. Tenere insieme nuovi modelli organizzativi e di gestione delle persone, enorme problema, richiede capacità coalizionale e profondità della proposta. E poi le elezioni si vincono soprattutto con le emozioni, non solo sui programmi».

Gentiloni sta tornando, Boccia ha detto che è insidioso, minaccioso verso Elly Schlein…
«Ma non ha senso. Forse gli è scappata qualche parola di troppo. Il modello vincente delle Europee nasce dalla consapevolezza della segretaria che deve rappresentare tutto il Pd e non solo la sua parte. Questa consapevolezza che deve diventare metodo non mi sembra che l’abbia messa in discussione nessuno».

I riformisti di Gentiloni hanno una funzione, uno spazio nel Pd di Schlein?
«Possiamo essere, con il nostro gruppo, con i cattolici, uno stimolo, forse anche un pungolo, sì. Però il tempo dei lunghi coltelli al Nazareno è finito. Non mi sembra una prospettiva attuale. Il Pd deve essere credibile per costruire un’alternativa: dobbiamo essere quelli che fanno tornare le persone a credere e a sperare. Ci vuole realismo, dobbiamo essere quelli della speranza realistica. Dobbiamo dire alle persone che c’è una possibilità concreta per migliorare la qualità della loro vita».

E sul referendum sul jobs act?
«Io ho proposto un metodo: discuterne in direzione, ovviamente. Ma anche rilanciare sulle politiche del lavoro con una conferenza sul lavoro itinerante che sappia raccogliere la realtà del mondo del lavoro. In questi dieci anni quel mondo è cambiato tre volte. Non ci dobbiamo far dividere da una scelta di Landini».

Quindi no al referendum, in sostanza.
«Anche perché i lavoratori sono altrove. Interessa il reddito. Il lavoro di qualità. Il lavoro sicuro, al tempo dell’Intelligenza artificiale. Non dobbiamo cadere nel tranello della sfida di dieci anni fa, dobbiamo essere quelli che lanciano la sfida dei prossimi dieci anni, semmai».

Quindi meno divisioni e più proposta concreta…
«Meloni vuole una politica di tifosi: punta tutto sul dividi et impera, sulla polarizzazione anche estrema. Noi non dobbiamo caderci. Io tifo allo stadio, non in politica. Invito attraverso Il Riformista tutti i partiti della coalizione a non cadere in questa trappola: quando noi non troviamo una sintesi, una mediazione, lei si rafforza».

Il lodo Franceschini la convince?
«Non tanto. Ho stima immensa di Dario Franceschini ma finché abbiamo il candidato all’uninominale e i simboli del proporzionale sulla stessa scheda non la vedo praticabile. Però se la sua provocazione può servire a riaprire la discussione sul proporzionale, io dico: viva il proporzionale. Anche con la legge elettorale attuale, se andassimo uniti, metteremmo la Meloni comunque in difficoltà. Se si votasse oggi al Senato la maggioranza sarebbe già in bilico, stando ai sondaggi».

Certo, devono cadere i veti di Conte sui centristi, altrimenti…
«Penso che quei veti cadranno, il M5S si è trasformato ontologicamente. Ha governato tre volte. Sanno benissimo che al di là delle campagne elettorali, per governare serve il compromesso. E lo si vedrà a partire dalle regionali».

Come si sposta l’asse sul riformismo?
«Dobbiamo essere realisti e seguire il metodo della discussione, della profondità e della lealtà».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.