È dalla guerra del Kosovo, nel 1999, che l’invio di un contingente di pace diventa oggetto di accese polemiche per la politica italiana. Il caso ucraino non si sottrae da questo rimescolamento delle posizioni. Sia nella maggioranza sia nell’opposizione, c’è chi si sente di fare i propri distinguo e prendere le adeguate distanze. D’altra parte, viene da chiedersi quanto sia utile questo dibattito, visto che di una tregua si sta parlando solo per le vie informali.

L’assenza di atti concreti giustifica il silenzio di Giorgia Meloni, le cui posizioni potranno essere più chiare dopo il summit sulla difesa comune europea, in agenda domenica a Londra. Un suo ok sarebbe la dimostrazione della buona volontà del solo governo europeo ben visto a Washington. Il decisionismo verrebbe apprezzato sia da Trump, sia dai nostri partner europei. Anche da coloro che si sono dimostrati spesso scettici nei nostri confronti. Ed è proprio a Londra e Parigi che si è rivolto il ministro Crosetto quando ricorda che «le truppe non si inviano come fax». Come a dire che le operazioni di pace devono nascere da un accordo tra tutte le parti. La polemica nasce dopo che nel tardo pomeriggio di ieri anche il summit Trump-Zelensky è stato messo in discussione.

Diverso è il caso delle altre due anime della maggioranza. «Parlarne ora non ha senso», ha detto il vicepremier, Matteo Salvini. A una prima lettura, questo è vero. Al fronte gli scontri restano intensi. Finché Trump, Putin e Zelensky non aprono davvero il dialogo, immaginare l’invio di una forza di pace si limita a essere un buon esercizio di conversazione. D’altra parte, Salvini ha toccato proprio il nocciolo della questione: «L’ultima cosa che faccio è tagliare la spesa sanitaria per aumentare la spesa militare». In realtà non sarebbe così automatico ma ha ragione: soldati in Ucraina vogliono dire più spese per la difesa, più spese per la difesa significano più investimenti per la Nato, quindi difesa comune europea e, in ultima istanza, revisione del Patto di stabilità. Tanta roba! Per chiunque avesse dei dubbi che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intendesse condensare tutto questo in così poche parole, c’ha pensato Riccardo Molinari a essere più chiaro. «Prima di pensare alla difesa europea, forse sarebbe il caso di porre rimedio ad alcuni problemi economici. Credo che l’Europa abbia altre priorità rispetto alla creazione di un esercito comune», ha spiegato senza mezzi termini il capogruppo Lega alla Camera.

È anche vero che la Lega gioca sull’ambiguità dei sondaggi. Swg sostiene che la maggior parte degli italiani dà per scontato il coinvolgimento diretto dei nostri uomini in Ucraina. Che poi questo disincanto sia affiancato al favore dell’opinione pubblica ad avere le nostre Forze Armate boots on the ground non è dato saperlo. Più istituzionale è stato Tajani, invece. «Se si deve creare una zona neutrale, devono esserci soldati sotto mandato Onu, non della Nato, dell’Unione europea o in generale dell’Occidente», ha detto il numero 1 della Farnesina, lasciando aperte anche le opzioni tra peace-enforcement o peacekeeping. Per Forza Italia, l’atlantismo deve cedere il passo al multilateralismo. Alessandro Cattaneo lo ha spiegato chiaramente: «Il modello è Unifil e il Consiglio di Sicurezza Onu dovrebbe fare da garante». Della stessa idea Mara Carfagna (Noi Moderati-Centro Popolare): «L’Europa sta mostrando una capacità di reazione agli eventi superiore a ogni previsione, e questo è un bene. L’idea di una missione sotto la bandiera Onu per garantire sicurezza all’Ucraina e all’Unione dopo gli accordi di pace potrebbe essere la via maestra per una possibile soluzione da esplorare».

Da segnalare infine il vuoto pneumatico dell’opposizione. Né ConteSchlein sono voluti intervenire. Del resto perché avrebbero dovuto farlo? La scarsa visione di certe posizioni conferma il male tutto italiano di fare giochi di maggioranza (e di opposizione) sulla politica estera. Quando invece la posizione internazionale del Paese andrebbe trattata come un interesse comune. E se anche questo fosse oggetto di perplessità, meriterebbe riflettere sul fatto che una forza di pace in Ucraina è l’anticamera della ricostruzione del Paese. Una volta raggiunta la tregua, l’Italia dovrà posizionarsi ai blocchi di partenza esattamente in linea con i suoi diretti competitor. Francia e Germania. Il rischio è restare fuori dalla corsa all’oro.