Il non racconto dei media
Il Cpac dipinto come una Spectre fascistoide è l’altra faccia dell’Occidente, Meloni e i conservatori riflettono la nuova società
La destra prova a rispondere alle domande dell’oggi, gli avversari devono studiare il fenomeno in atto

Ernst Jünger affermava saggiamente che “benché in ambito politico il confine tra realismo e cinismo sia a volte difficile da stabilire, una visione disincantata della politica e della storia non può prescindere dal riconoscimento dell’ineluttabile dinamica intrinseca del politico, che implica lotta e conflittualità”. E i tempi nei quali viviamo richiedono entrambe le combinazioni, così come dovrebbero spingere a una maggiore oggettività chi è chiamato a commentare, raccontare e interpretare i fenomeni, evitando un’ideologica e puerile chiusura aprioristica.
Oggi tutti i fenomeni in movimento lungo il corso dello Spirito della Storia ci colgono impreparati, proprio perché siamo noi in fondo a non volerne cogliere appieno il significato. In democrazia la storia passa per il voto, e se in esso veritas est, allora il compito primo dell’oggi è capire che la nostra società è profondamente cambiata e che il compito della politica non è educativo ma rappresentativo. Concetto ribadito da Giorgia Meloni nel suo acutissimo intervento al Cpac. Si tratta della principale conferenza dei conservatori statunitensi, divenuta ormai un appuntamento fisso per i partiti e per i movimenti conservatori a livello globale; eppure gran parte della stampa la racconta come l’ennesimo raduno di una sorta di Spectre fascistoide, come se nei panni di Ernst Stavro Blofeld – però senza gatto persiano chinchillà – ci fosse il duo incubo della sinistra contemporanea formato da Elon Musk e Donald Trump.
Al contrario, il Cpac è lo specchio di un mondo in crescita che per essere giudicato deve essere compreso. E i risultati elettorali a livello globale ne sono la dimostrazione evidente. Oggi la conferenza – con la vittoria di Trump, il governo Meloni in Italia, Milei in Argentina e tutti gli altri premier conservatori – rappresenta anche un palcoscenico importante sul piano degli orizzonti politici di un blocco in crescita. Ecco perché focalizzare il tutto sul gesto inconsulto di un oratore, ormai fuori dalla stanza del potere e alla ricerca di spazio mediatico, risulta assai riduttivo. Per questo la decisone di Meloni di parlare, nonostante le critiche interne e il passo indietro di Jordan Bardella, si è dimostrata vincente e dirompente allo stesso tempo.
La presidente del Consiglio ha mandato messaggi chiari, tanto alla Casa Bianca (e quindi a The Donald) quanto ai suoi colleghi europei. Dimostrando che il suo silenzio e la sua cautela della scorsa settimana sono stati frutto di una strategia equilibrata e non di un equilibrismo, come in troppi con troppa facilità si erano spinti a definirlo. Quel palco e quell’assemblea erano funzionali, e sono il consesso di un vento politico in crescita: la risposta politica alle domande dell’oggi. Un vento che, come anche i risultati della Germania hanno dimostrato, è il frutto di un consenso sempre maggiore.
Di qui la necessità di abbandonare i toni del commento superficiale per riconoscere al mondo conservatore la sua sfera, la sua forza e ancor di più la sua spinta nell’attuale congiuntura storica. Un mondo conservatore che ha in sé un bagaglio storico e culturale – legato alla storia della realtà nazionale in cui si è sviluppato – e che a livello globale rappresenta una visione alternativa dell’Occidente, che si è posto come obiettivo ambizioso il superamento di quel senso di sconfitta e decadimento degli ultimi decenni.
© Riproduzione riservata