La posizione della premier
Meloni non commenta l’affondo di Trump e pensa al blitz alla conferenza dei conservatori di Washington

Sale la tensione dopo il duro e inatteso attacco sferrato da Donald Trump a Volodymyr Zelensky, a cui però non è ancora seguito un commento da parte di Meloni. Si riaccende così uno scontro che sembrava sopito nelle trame della campagna elettorale americana e poi nell’impegno di Trump per chiudere la guerra al più presto possibile. L’offensiva, arrivata prima a mezzo Truth e poi in un più articolato intervento dinanzi a un gruppo di finanziatori sauditi, ha finito per stravolgere l’agenda delle cancellerie europee. Ma Giorgia, a differenza di Antonio Tajani, non si è ancora pronunciata per condannare l’uscita del tycoon.
Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer voleranno a Washington lunedì, per incontrare The Donald e provare a capire quali siano le reali intenzioni degli Stati Uniti per il futuro di Kiev. Ma questa a Washington è anche la settimana del Cpac (Conservative political action conference), la più grande e importante conferenza dei conservatori americani a cui partecipano le delegazioni di tutti i partiti conservatori europei, sudamericani e asiatici. Fondata nel 1974 dall’American Conservative Union e inaugurata da un discorso di Ronald Reagan, ad oggi è il più importante palcoscenico della destra americana dopo la convention del Partito repubblicano e la più importante a livello globale.
Nel corso degli anni sono nate e cresciute varie sezioni distaccate del Cpac, dall’Europa con l’edizione di Budapest all’Australia, Giappone, Brasile e Messico. In questi mesi si è anche parlato di una possibile edizione in Italia, idea che per ora non ha trovato la giusta rifinitura politico-culturale. Non essendo un evento partitico, ma associativo e culturale, solitamente partecipano anche esponenti politici di area conservatrice militanti – nei rispettivi paesi – in partiti popolari o liberali di destra.
Capire il Cpac è complesso se non si entra nel meccanismo scenico e pittoresco della politica americana, lontana per tinte e stili da quella europea, più ingessata e istituzionale, meno incline a una spettacolarizzazione letterale della politica. Il Cpac però è anche una kermesse che racconta equilibri e orizzonti del mondo conservatore, da non interpretare in chiave “dirigistica”. Non sono i congressi sovietici a cui prendevano parte le delegazioni di tutti i partiti comunisti allineati con Mosca. Si tratta di una conferenza dominata e caratterizzata da un perno culturale che quest’anno, rispetto all’edizione del 2024, può contare su un ottimismo derivante dalla vittoria di Trump e dal vento in poppa che batte in favore delle forze conservatrici in tutto il globo occidentale e occidentalizzato. Non a caso il presidente della Heritage Foundation si è spinto ad affermare: “Noi conservatori non siamo mai stati così entusiasti del futuro”.
Del resto, il palcoscenico del Cpac è un trampolino di lancio e di consacrazione nel mondo conservatore, come insegna l’esperienza di Meloni, veterana della manifestazione da ben prima di conquistare Palazzo Chigi. Ed è sempre qui che la presidente del Consiglio avrà un posto d’onore sabato, intervenendo però – stando all’agenda attuale – in collegamento da Roma. Ma, alla luce dei recenti accadimenti, si fa spazio l’ipotesi che possa decidere all’ultimo (con un blitz in stile Mar-a-lago) di presenziare alla convention e anticipare Macron e Starmer nella Capitale statunitense.
Per Meloni si tratta di una prima occasione politica per parlare a un pubblico conservatore e globale dopo la vittoria di Trump e la sempre più salda alleanza tra Italia e Stati Uniti. Ma sarà anche la prima uscita dopo l’accelerazione sull’Ucraina, il vertice di Parigi e l’attacco di The Donald a Zelensky. La presidente del Consiglio potrà sfruttare un podio non istituzionale per puntellare la posizione italiana e rimarcare l’impossibilità di una risoluzione della guerra senza l’asse tra nazioni europee e Stati Uniti. Insomma, ribadire la linea tenuta a Parigi e forse lanciare qualche messaggio da pontiera sulla questione dei dazi: almeno per ora, è l’unica voce in grado di dialogare e negoziare con Trump per conto dell’Europa.
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