La strategia rallenta il negoziato
La partita a scacchi di Putin che può mettere in difficoltà Trump: quando la pace sembra possibile, la guerra fa capolino all’orizzonte
Il leader russo ha già ottenuto un primo risultato: uscire dall’ìsolamento internazionale Ma alza la posta e complica i giochi della delegazione Usa per i colloqui di pace

Mentre l’Europa spera di riuscire a trovare una sintesi politica e militare sull’Ucraina, Stati Uniti e Russia mettono in scena la prima fase del disgelo a Riad – ospiti del principe Mohammed bin Salman – e procedono verso la costituzione di un tavolo permanente per giungere alla conclusione del conflitto. I grandi assenti sono gli ucraini, che non hanno gradito l’esclusione e che hanno fatto sentire la loro voce. Irritata la risposta di Donald Trump, che si è detto “deluso” dalla posizione di Zelensky ma soddisfatto per l’andamento dei colloqui. I primi che possono giungere a una fattiva conclusione e spalancare le porte alla pace.
Ma il tema che preoccupa le cancellerie europee e soprattutto Kiev è il prezzo della pace: quanto l’Ucraina dovrà lasciare sul campo alla Russia? Come prevedibile, Mosca ai negoziati non veste certo la pelle dell’agnello: vuole far pesare l’andamento della guerra, che ultimamente sorride al Cremlino, nonostante la forza di volontà messa in campo dall’Ucraina. Per ora sembra che l’interesse russo sia quello di rientrare nel gioco, di uscire dall’isolamento internazionale e di riavviare i contatti e il dialogo con Washington, in vista di quello che sarà l’incontro tra Trump e Putin. A meno di un mese dal suo ingresso alla Casa Bianca, The Donald è riuscito a portare la Russia al tavolo della trattativa, partendo da un presupposto che è quello da lui enunciato fin dall’inizio del conflitto: “Bisogna porre fine alla guerra”.
Non è pacifismo quello che spinge i repubblicani agli sforzi per la risoluzione del conflitto, ma un acuto calcolo geopolitico e uno spostamento del loro baricentro strategico nell’Indo-pacifico. Non più in Europa e non certo nella difesa di Kiev. Ed è qui che per la prima volta Nato e Washington sembrano parlare due lingue differenti. Per Rutte e partner europei bisogna continuare a sostenere l’Ucraina e non cedere a ogni richiesta proveniente dalla Russia, con Francia e Regno Unito pronte a inviare contingenti in Ucraina. Condizione che rischia di far saltare la trattativa di Riad.
Per il ministro degli Esteri russo Lavrov, è chiaro che Mosca non accetterà la presenza di contingenti stranieri neanche in funzione di peacekeeping. Trump dovrà calmierare i bollenti spiriti anglo-francesi, con i quali non ha di certo un feeling entusiasmante. Ma la sua forza negoziale con l’Europa poggia su un dato numerico concreto, che cozza con le richieste avanzate da Zelensky sull’impiego di forze europee, pari a 200mila unità. Un contingente che richiederebbe un dispiego totale tra i 500 e i 600mila uomini, numeri che i paesi europei non possono sostenere senza sguarnire le loro difese. Quindi il ruolo americano sarebbe anche in tal caso cruciale.
Tocca al tycoon sciogliere la matassa, poggiando non solo sulla posizione italiana ma anche sull’opposizione della Germania all’invio di forze in favore di Kiev. Certo, Berlino sta per affrontare la prova delle urne, ma il papabile cancelliere Merz sembra abbracciare la linea Meloni. La divisione europea è una certezza per Trump in questo momento, alla stregua dell’importanza dell’appoggio Usa per Zelensky e l’Ucraina. Ma la posta in gioco resta alta, e fondamentali saranno le richieste russe dopo questa fase di disgelo. Comunque sul tavolo le carte coperte restano ancora molte, e la passione per gli scacchi dei russi non facilita il lavoro della delegazione statunitense. Perché in fondo, come insegna la storia, quando la pace sembra possibile allora la guerra fa capolino all’orizzonte.
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