Come difendere l’Europa da sé stessa?
Trump, Vance e la ‘cortesia’ di trattare da soli con Putin: l’arroganza dei solitari numeri uno e il solito pensiero autodistruttivo europeo
Alla Casa Bianca sono convinti di farci una cortesia quando convocano a Riad il capo della diplomazia russa per discutere, senza gli ucraini e senza di noi, le condizioni per un accordo di pace.

Nei manuali di dottrina militare che ancora vengono utilizzati e studiati a West Point c’è scritto chiaramente che l’obiettivo di ogni buon Generale deve essere quello di garantire la tenuta delle truppe su due fronti contemporanei al massimo. L’Europa, invece, è sottoposta in questo delicato passaggio ad una triplice pressione: l’aggressività russa, il disimpegno americano e il “negazionismo” europeo.
L’aggressività russa è ancora oggi, nonostante le evidenze, sottovalutata
Si dice spesso che Putin si fermerà dopo aver visto riconosciute le sue pretese sui territori ucraini già occupati militarmente. Si ipotizza che mai il Cremlino potrà usare armi strategiche, missili intercontinentali o perfino l’arma atomica tattica perché le conseguenze per Mosca sarebbero devastanti. E si tentano analisi economiche per dimostrare che la guerra sta innanzitutto indebolendo l’economia russa, fiaccandone la tenuta interna. Probabilmente ciascuna di queste affermazioni contiene una parte di verità. Ma solo una parte. Perché le relazioni internazionali si reggono da sempre sul principio della deterrenza, naturale evoluzione dell’antico adagio “se vuoi la pace, prepara la guerra”. La deterrenza è un fatto formale, ossia una disponibilità adeguata di uomini, mezzi e tecnologie per prevenire la tentazione di un attacco. Ma è soprattutto un fatto sostanziale, ovvero la preparazione culturale all’idea che il mondo abbia perso la sua geometria, che le regole sono saltate e che l’unica legge rimasta è quella del più forte.
Il disimpegno americano
Il disimpegno americano dall’Europa è un dato non nuovo ma che si fa fatica a metabolizzare. Già all’inizio degli anni duemila l’America chiedeva agli alleati di fare di più in termini di investimenti per la difesa. Ed è allo scoppio della guerra in Ucraina che gli USA si sono limitati, in maniera non scontata, ad un supporto finanziario e nella fornitura di armamenti a Kiev, escludendo qualsiasi forma diversa o più diretta di impegno. Trump è semplicemente l’epifania di questo orientamento consolidato praticamente in tutti i corridoi del Pentagono. Il nuovo corso politico americano comporta però un salto di qualità: alla Casa Bianca sono convinti di fare una cortesia all’Europa nel momento in cui convocano a Riad il capo della diplomazia russa, per discutere, senza gli ucraini e senza gli europei, le condizioni per un accordo. È l’arroganza dei numeri uno che lascia spesso sbalorditi e molto più spesso impreparati. Anche in questo caso dobbiamo distinguere la forma dalla sostanza.
Il dibattito, fuorviante, è troppo concentrato sul primo aspetto, ovvero quanti soldi gli europei sono disponibili a mettere sulla difesa in rapporto al PIL. Un numero importante e che va sicuramente rafforzato ma che dice poco sul dato sostanziale: ovvero, per fare cosa? Anche in questo caso sappiamo di avere molti limiti culturali che facciamo fatica a superare. Il teatro di guerra sta cambiando ad una velocità senza precedenti. Il controllo dello spazio e del cyberspazio, le comunicazioni satellitari, la logistica e le comunicazioni sono più importanti delle piattaforme e dei carri armati. E invece in Europa continuiamo ad avere almeno tre progetti di sviluppo di aerei da combattimento diversi, più una mezza dozzina di programmi internazionali per caccia di ultima generazione. Spendere di più è necessario ma spendere meglio è vitale.
Il negazionismo made in UE
Infine, il terzo elemento di pressione: il nostro negazionismo. L’incapacità cioè di accettare l’idea che sia finita per sempre l’era della pace, che la guerra non sia un fatto contingente ma un dato permanente nel nuovo scenario geopolitico. Governanti e governati in Europa continuano a negare l’idea che ci si debba preparare a difendere con ogni mezzo non solo i nostri interessi, inclusi i nostri territori, ma anche i nostri valori. Quegli stessi valori messi in discussione dal Vice Presidente americano Vance a Monaco. Il suo è stato un discorso pubblico sofisticato e insidioso. Un richiamo ai valori fondamentali della libertà di parola e di espressione come grimaldello per la nostra “ossessione” contro la propaganda, la disinformazione e la manipolazione.
Attenzione però a sottovalutare quelle parole e quelle posizioni, a respingerle come una provocazione. Di nuovo, facciamo fatica ad accettare che tutto possa cambiare e che il nostro alleato storico possa aderire ad uno schema, quello della fine dell’equilibrio dei poteri tanto in casa quanto nel mondo, che ci ha abituati a dare per scontate le nostre democrazie. A noi spetta dunque il compito di difendere l’Europa, innanzitutto da sé stessa. Da quella tentazione perversa e autodistruttiva di pensare che, in fondo, nessuno avrà il coraggio o la forza per stravolgere decenni di un equilibrio che ci ha garantito prosperità e pace. Ma la storia insegna come questi periodi siano delle eccezioni. Guai a noi se ne facciamo invece una regola, in un mondo in cui le regole contano meno delle opinioni.
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