Serve unità, soprattutto nei momenti di crisi. E invece davanti al mondo Occidentale che va in pezzi, con Trump che corre in sostegno di Putin, si sgretola l’asse della maggioranza. Matteo Salvini è con Trump che esclude Zelensky dalle trattative di pace, Antonio Tajani con l’Europa, con Macron e per Zelensky. Giorgia Meloni è nel mezzo, tentando acrobaticamente di figurare nella foto di famiglia europea di Parigi e al tempo stesso del trumpismo duro e puro. Riuscire a non scontentare gli uni e gli altri, operazione sempre difficile, risulta oggi impossibile.

Così mentre Salvini darebbe il Nobel per la pace a Trump, Tajani non nasconde la sua irritazione. «Non devo commentare tutte le idee e tutte le proposte di coloro che parlano nel mondo. Ognuno ha le sue idee e fa le sue valutazioni legittime e giuste, non fa parte della politica di governo o dell’accordo di maggioranza chi deve diventare premio Nobel», ha tagliato corto Tajani. Il fastidio è malcelato. La posizione di Tajani è quella di Forza Italia. Ed è quella del Partito Popolare Europeo, che ha sul collo il fiato corto delle elezioni tedesche, ormai a un passo. E c’è poi il congresso del Ppe in agenda per il 29 e 30 aprile: un appuntamento al quale Tajani arriva con una posizione di forza, da vicepremier del governo più stabile d’Europa.

Argomenti che lo autorizzano a tenere dritta la sua bandiera. Quella dell’Europa liberale, ben lontana – per non dire, oggi, antitetica – rispetto alle posizioni di JD Vance e di Donald Trump. Ieri il leader di Forza Italia non si è nascosto: ha parlato prima in una conferenza stampa al partito, poi in una lunga intervista televisiva. Intanto per rimarcare la distanza dalla Casa Bianca: «Le parole della nuova amministrazione degli Stati Uniti – ha sottolineato Tajani – sono parole forti, evidentemente c’è qualche crepa nel rapporto tra Trump e Zelensky e questo sta emergendo. Il nostro interesse è che la situazione si calmi». E poi ha ribadito: «Noi sosteniamo l’Ucraina e il governo legittimo, il presidente è Zelensky e finché sarà lui presidente, le nostre interlocuzioni saranno con lui».

Ancora meglio: «La nostra posizione è chiara. Noi – ha osservato – abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere l’Ucraina, abbiamo sempre detto che non eravamo in guerra con la Russia e abbiamo negato l’autorizzazione a utilizzare le armi italiane al di fuori dei confini e siamo convinti che ora al tavolo delle trattative debbano esserci gli europei, debba esserci l’Ucraina e naturalmente gli Stati Uniti. E non possiamo pensare che il futuro della sicurezza dell’Europa possa essere sganciato da un rapporto Europa-Stati Uniti. Le relazioni transatlantiche per noi sono fondamentali».

Ci mancherebbe. Parole pacate, che fino a poche settimane fa sarebbero parse perfino banali. Ma che in questo momento confuso, di bullismo diplomatico, sembrano oro. Che splende ancora di più quando Tajani sottolinea il ruolo dell’Europa che «non può essere spettatrice ma protagonista sia della pace in Medio Oriente, sia in Ucraina». Lunedì prossimo, a Bruxelles, i ministri degli Affari Esteri vareranno il sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, concordato mercoledì nel Coreper, che dovrebbe concentrarsi tra l’altro sulla ‘flotta ombra’ di petroliere usata da Mosca per aggirare il tetto al prezzo del greggio.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.