Mentre Hezbollah, ancora sotto shock per il sofisticato attacco informatico messo in atto dal Mossad ai cercapersone e alle radio portatili dei suoi membri, giura “vendetta sanguinosa e senza precedenti”, la popolazione iraniana ha invece mostrato una sorprendente mancanza di compassione verso i membri di Hezbollah feriti, uccisi o mutilati, con post di esultanza sui social e nelle scritte sui muri di diverse città dell’Iran.

Questo atteggiamento ostile nei confronti dell’organizzazione sciita libanese, spesso anche pieno di sarcasmo, è profondamente radicato nella grande maggioranza della popolazione che, almeno dalla nascita del Movimento Verde del 2009, ha fortemente denunciato i legami della Repubblica islamica con Hezbollah e con gli altri gruppi estremisti del cosiddetto “asse della resistenza”, considerati alla stregua dell’Isis e del regime repressivo di Teheran e ritenuti pozzi senza fondo che consumano la ricchezza iraniana e che producono l’isolamento internazionale del paese. Come sostengono diverse accademie e lo Zogby Research Services, prestigioso istituto di ricerca che monitora la politica e la società del mondo islamico, una larga maggioranza della popolazione ritiene che la questione palestinese abbia soppiantato la necessità di provvedere alle proprie urgenze economiche, per questo, per le generazioni più giovani, la lotta dei palestinesi per la loro terra è percepita semplicemente come un giocattolo retorico con cui la leadership iraniana intende rafforzare la propria influenza nel mondo musulmano.

Pertanto gli iraniani ritengono che le recenti uccisioni di esponenti di Hezbollah sono una giusta azione ritorsiva in risposta alla violenza subita dagli inermi pacifici giovani manifestanti. Le reazioni sui social media sono state rivelatrici a questo proposito. L’odio trasversale verso Hezbollah ed Hamas degli iraniani, prevalentemente nella fascia degli under 30, che costituiscono oltre il 70% dell’intera popolazione, è dovuta anche al fatto che i feroci membri di queste organizzazioni sono stati utilizzati dalla guida suprema Ali Khamnei per soffocare le rivolte dei giovani del 2022. Per esempio, miliziani del Partito di Dio libanese sono stati sguinzagliati in tutte le province iraniane per dare manforte alle milizie paramilitari basij e hanno rappresentato uno dei bracci più crudeli delle forze della repressione in Iran contro il movimento “Donna, Vita, Libertà”. I jihadisti sciiti libanesi, addestrati dai pasdaran, hanno messo in atto in Iran tattiche di brutale violenza, tra cui quella di sparare ai manifestanti con i pallini da caccia, mirando volontariamente agli occhi con la conseguenza di numerosi accecamenti, oltre che di mutilizioni di arti e di uccisioni. I terroristi di Hezbollah sono molto esperti nella pratica di questa brutale modalità repressiva all’interno del Libano.

Gli iraniani sanno che le loro azioni sono andate oltre la mera politica regionale e che da anni il gruppo è coinvolto nella repressione del dissenso in Libano, in Siria, in Iraq e persino in Iran. In Iran e in Siria sono presenti al fianco delle milizie filoiraniane Kata’ib Hezbollah, ovvero le Brigate sciite irachene del Partito di Dio facenti parte delle Forze di mobilitazione popolari, molto vicine agli Houthi dello Yemen, tutte formazioni, queste, del cosiddetto “asse della resistenza” eterodirette dall’Iran per logorare ai fianchi lo Stato ebraico fino alla sua distruzione. I giovani iraniani non provano dunque alcuna compassione per i fanatici miliziani a loro volta accecati dagli attacchi israeliani; vedono la disfatta di Hezbollah e di Hamas come una forma di resa dei conti, sanno che utilizzano le stesse tecniche repressive della Repubblica islamica rendendo la loro stessa popolazione vittima di attentati suicidi, sanno che utilizzano ospedali, ambulanze e aerei civili non per il trasporto di ammalati o di normali passeggeri, ma per trasportare armi e terroristi armati di tutto punto e che praticano sistematicamente anche lo stupro come arma di guerra.

Mentre il Consiglio dei guardiani è impegnato a inasprire la legge sull’hijab obbligatorio, Teheran appare molto spaventata e paralizzata da quel che sta accadendo ai suoi proxy e ha inviato al Palazzo di Vetro il suo presidente Pezeshkian con l’etichetta di “moderato” per presentare, in particolare agli Stati Uniti, un Iran con una rinnovata retorica dai toni bassi e che indossa la veste di pacifista pur non avendo mutato nulla della sua politica estera in Medio Oriente. Pezeshkian è molto utile al regime islamico perché col suo volto di finto riformista ha il preciso compito, già assegnatogli dalla guida suprema, che lo ha voluto alla presidenza del paese, di aprire un dialogo con l’Occidente, in particolare con Washington, nella speranza di un alleggerimento delle sanzioni che ridarebbero fiato all’economia disastrata del paese. Infatti, l’abolizione delle sanzioni americane o un loro alleggerimento rafforzerebbero la Repubblica islamica che avrebbe ancora le mani libere per meglio reprimere gli oppositori interni in piena impunità e meglio riorganizzare le sue forze per procura nell’area e guadagnare tempo per l’attuazione del suo programma atomico clandestino.