Questa è la storia di un capolavoro mancato. È un testo inedito di Alberto Moravia, una sceneggiatura per un film che avrebbe dovuto dirigere Roberto Rossellini, e (purtroppo) mai girato. A occhio e croce, un binomio di quel calibro avrebbe realizzato qualcosa di molto importante. Peccato. E dunque è uscito un volume prezioso edito da Bompiani, la storica casa editrice di Moravia, “Questa è la nostra città – Storia per un film mai girato” (soggetto cinematografico con Alfredo Guarini, Massimo Mida, Gianni Puccini per Roberto Rossellini), a cura di Alessandra Grandelis con postfazione di Giuseppe Lupo.

Non un filmetto di propaganda

La storia di questa sceneggiatura è abbastanza semplice. Siamo nel 1947, l’Italia sta faticosamente ricostruendo sé stessa dal punto di vista materiale e morale dopo il disastro della guerra. La grande industria Pirelli, a Milano, si è rimessa in piedi molto bene. Migliaia di operai garantiscono un prodotto che ha già conquistato i mercati europei. L’azienda pensa di celebrare il suo 75esimo compleanno affidando la realizzazione di un film al “giro” romano che in quegli anni è la colonna del neorealismo, e dunque a Rossellini, il Maestro che ha raggiunto la gloria, con un po’ di ritardo, con “Roma città aperta” e “Paisà”, e ora sta girando un altro capolavoro, “Germania anno zero”. Cosa vuole la Pirelli? Non un filmetto di propaganda, ma una vera opera cinematografica importante che illumini il ruolo morale della grande fabbrica in un’Italia che vuole rinascere ma che è pur sempre attraversata da bassezze, illegalità, disonestà, che da una parte sono il portato di un’epoca terribile ma dall’altra anche una scorciatoia per conquistare privilegi grandi e piccoli. Occorre dunque un soggetto, anzi una sceneggiatura forte che sia l’ossatura del film che Rossellini dovrà dirigere. E si pensa a Moravia, scrittore affermatissimo nonché grande appassionato di cinema (aveva già collaborato a diverse sceneggiature). Ed egli è entusiasta. Scrive questa sceneggiatura incrociando il motivo della condizione operaia con quello più prettamente letterario-cinematografico dell’intreccio drammatico (qualcosa di simile farà poi Giuseppe De Santis con “Riso amaro”, ambientato però non in una metropoli ma nelle risaie vercellesi).

Il gioco dei rimandi

La vicenda narrata da Moravia è quella della famiglia Riva che vive in una vecchia cascina alla periferia di Milano, una famiglia operaia di tre generazioni tutte legate alla mitica Pirelli (in questo volume tra l’altro ci sono belle riproduzioni fotografiche della vecchia azienda) che è poi l’ambientazione del film da girare. Sulla famiglia grava la recente tragedia del figlio Bruno, antifascista ucciso dai tedeschi a piazzale Loreto nel ’44 (che proprio per questo precedente barbarico divenne l’anno successivo la scena altrettanto bestiale del cadavere di Mussolini appeso a testa in giù). Due sono le figure centrali della famiglia Riva. Il giovane Carlo, nel quale si scorge l’inquietudine e l’ansia di una vita diversa già abbagliata dai feticci del consumo: «Carlo è annoiato: e indica i suoi compagni che eseguono, come lui, un lavoro monotono e stupido e senza fantasia. Poi estrae un fazzoletto e si asciuga. No, il pensiero di dover faticare tanti anni a quel modo per poter sostituire il padre non lo lusinga davvero». E poi c’è la sorella di Carlo, la sensuale Angela, vogliosa di soldi e agiatezze: «Una vita lussuosa e oziosa, simile a quella delle dive, è il suo mito, la sua religione. Per lei il lusso comprende in sé tutto ciò che è bello, nobile, desiderabile nella vita: l’amore, la gioia. Il bacio di un operaio in tuta non le sembrerebbe neppure un bacio. Essa sogna baci di un signore in smoking, simile a quelli visti al cinema». A ragione, la curatrice Alessandra Grandelis intravede in Carlo e Angela qualcosa di Michele e Carla degli “Indifferenti”: in Moravia il gioco dei rimandi è sempre vivo. Proprio la ricerca dei soldi e della vita agiata conduce la bella Angela in un giro losco dominato dal falsario Cesare, e di qui alla tragedia il passo non sarà lungo: «Queste sono le cose che avvengono in questo Dopoguerra babelico». È una definizione importante. L’immediato Dopoguerra contiene in sé i mostri morali della guerra.

Le figure di Moravia

Moravia punteggia il testo con una serie di figure di operai, un’umanità non rassegnata e non sconfitta. La sceneggiatura è bella ma per una serie di lungaggini e incomprensioni non se ne farà nulla: i dirigenti della Pirelli, tutta gente di prim’ordine beninteso, lasciano perdere anche preoccupati che il nuovo corso politico seguente alla rottura con il Pci da parte di De Gasperi mal si combini con un’opera sociale e inequivocabilmente “di sinistra” firmata da Moravia e Rossellini. Ma è probabile che tra le intenzioni della Pirelli e il prodotto intellettuale dello scrittore romano vi fosse una discordanza preliminare di fondo. Come scrive Lupo nella postfazione, «il ruolo assegnato alla fabbrica non solo è interlocutorio, diciamo anche incolore, e per giunta si connota di sfumature latamente immorali essendo alcuni dei personaggi collusi con la piccola criminalità di periferia, dai modi confusi e dilettanteschi, che non è difficile immaginare nella Milano del Dopoguerra, quasi a suggerire un vincolo tra industrializzazione e malavita come prezzo da pagare sull’altare della modernità in espansione».

Moravia in effetti mostra di non dare molto peso all'”illuminismo” pirelliano, insistendo piuttosto sul lato esistenzialistico, alienante, della civiltà industriale. E infatti nel finale pur non pessimistico della sceneggiatura moraviana non riesce a celare la sostanza tragica di una condizione post-bellica che salda il dramma della guerra con le incertezze del futuro. D’altronde, anche in seguito la letteratura e il cinema, da Visconti a Petri, seguiranno questa strada che l’autore degli “Indifferenti” aveva intravisto in “Questa è la nostra città”. Rossellini aveva capito Moravia ma la Pirelli si tirò indietro. Sbagliando.