Dopo anni di crisi gli italiani reagiscono o almeno “si contrappongono a una prospettiva di declino”, ma il Paese sconta tutti i limiti di una classe politica “rassegnata a non decidere”, che “ha smarrito sé stessa”. È quanto emerge dal 53esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi a Roma. “L’anno che si va chiudendo segna l’inizio di un diverso modo di osservare l’orizzonte e rafforza l’impressione che l’adeguamento verso il basso non può proseguire senza limiti, senza porre argini o individuare punti di sostegno per frenare lo sgretolamento, per provare ad ancorarsi e tentare un cambio di direzione – si legge nel rapporto – Il franare è stato in parte interrotto grazie alla ricostruzione di alcune piastre di sostegno cui ancorare non una nuova fase di crescita, ma almeno un cambio di rotta”.

IL FALLIMENTO DELLA POLITICA – Il rapporto del Censis precisa come “i limiti della politica attuale sono nella rassegnazione a non decidere. Tante, troppe riforme strutturali sono state annunciate, ma mai concretamente avviate: nella scuola, nella giustizia, nella sanità, nella fiscalità, nel quadro istituzionale. Lo scenario nel quale ci muoviamo è affollato da non decisioni: sul contenimento della pressione migratoria, sulla digitalizzazione, sulla politica tributaria, sulle concessioni e sui lavori per le grandi infrastrutture di rete, sui servizi idrici o per i rifiuti, sulla collocazione delle scorie nucleari. Non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito sé stessa”.

INCERTEZZA E CROLLO DEL WELFARE – Dai dati emerge che lo stato d’animo che attanaglia il 69% degli italiani è l’incertezza con la quale i cittadini guardano al futuro, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista. “Gli italiani avevano dovuto prima metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di autotutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato – si legge nel rapporto -. Poi avevano dovuto fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale. Anche perché la nuova occupazione creata negli ultimi anni è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi”.

LA SCALA SOCIALE BLOCCATA – Per il 69% degli italiani la mobilità sociale è bloccata. Il Censis rivela infatti che “il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale – si legge nel dossier – Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Infine, gli italiani hanno dovuto rinunciare perfino ai due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone e i Bot, di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e a titoli di Stato dai rendimenti infinitesimali”.

LE PULSIONI ANTIDEMOCRATICHE – Il prezzo da pagare per il crollo della fiducia nella politica sono le crescenti pulsioni antidemocratiche. L’altro prezzo da pagare sono le crescenti pulsioni antidemocratiche. Oggi solo il 19% degli italiani parla frequentemente di politica quando si incontra – precisa il rapporto Censis – Il 76% non ha fiducia nei partiti (e la percentuale sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati). Il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia. Sono i segnali dello smottamento del consenso, che coinvolge soprattutto la parte bassa della scala sociale. E apre la strada a tensioni che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della storia, come l’attesa messianica dell’uomo forte che tutto risolve. Il 48% degli italiani oggi dichiara che ci vorrebbe un «uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai)”.

IL GRANDE ESODO DAL SUD – Attraverso la lente degli indicatori demografici l’Italia appare invece rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite. “Dal 2015 – anno di inizio della flessione demografica, mai accaduta prima nella nostra storia ‒ si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti. Nel 2018 i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa. La caduta delle nascite si coniuga con l’invecchiamento demografico. Nel 1959 gli under 35 erano 27,9 milioni (il 56,3% della popolazione complessiva) e gli over 64 erano 4,5 milioni (il 9,1%). Tra vent’anni, su una popolazione ridotta a 59,7 milioni di abitanti, gli under 35 saranno 18,6 milioni (il 31,2%) e gli over 64 saranno 18,8 milioni (il 31,6%). Sulla diminuzione della popolazione giovanile hanno un effetto anche le emigrazioni verso l’estero: in un decennio più di 400.000 cittadini italiani 18-39enni hanno abbandonato l’Italia, cui si sommano gli oltre 138.000 giovani con meno di 18 anni”.

Carmine Di Niro

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