La connettività è il nostro destino: con queste parole il politologo Parag Khanna riassume il significato di un trend ormai sotto gli occhi di tutti. La globalizzazione è diventata un’enorme trama economica che mette in relazione costante persone, idee, organizzazioni e mercati. Ciò avviene in un’ottica transazionale, priva di confini, tanto da rivoluzionare anche il funzionamento delle imprese. La ricchezza, oggi, viene generata attraverso la creazione di legami economici più che di prodotti. Si tratta di una trasformazione accelerata e radicale, che mette in primo piano il potere dei network di più organizzazioni. Un fenomeno, quest’ultimo, che affonda le sue radici nel passato e risale ai tempi dell’antichità classica, alla sfida tra Sparta ed Atene. Le loro popolazioni erano al centro di due visioni del mondo: da una parte i Dori del Peloponneso, legati all’autonomia delle proprie istituzioni economiche e dall’altra gli Ioni dell’Attica, più propensi a creare legami commerciali. In epoca recente sono i futurologi che per primi sottolineano la rilevanza delle reti d’impresa rispetto alle imprese tradizionali. Basti pensare ad Alvin Toffler o John Naisbitt, con i loro studi sulla competitività di network legati a forme organizzative più evolute.
La recente crisi da Covid-19 sembra riportare in primo piano l’importanza delle reti d’impresa. È indubbio, infatti, che una partnership strategica tra più imprese dia maggiori chance per affrontare una situazione di emergenza. Diversi casi di successo, riportati nelle maggiori riviste internazionali di management, lo dimostrano: esiste un legame tra resilienza e networking. Il fenomeno però resta ancora poco studiato. La maggior parte delle ricerche economiche si focalizzano principalmente sulla risposta gestionale delle singole aziende alla crisi pandemica. Per tale ragione, la recente ricerca condotta da CEIMA, Centro Studi per l’Innovazione Manageriale, in collaborazione con Assoretipmi, cerca di colmare questo vuoto. In particolare, la ricerca, intitolata “Crisis management e reti d’impresa”, ha voluto analizzare le risposte manageriali delle reti inter-organizzative all’emergenza economica creata dalla pandemia.
La ricerca è di sociologia economica. È di tipo esplorativo e fa ricorso al metodo dei casi. Quest’ultimo è giustificato per la natura in progress dell’oggetto di studio, ma anche per l’ambito sfumato di analisi, con i confini tra l’universo di studio e il contesto socio-economico di riferimento in corso di definizione. Il campione ha riguardato 24 testimoni privilegiati, ovvero manager di rete rappresentanti sia di reti d’impresa che di cluster. Il territorio di appartenenza è rappresentativo dell’intera Penisola, e i settori merceologici comprendono gli ambiti di attività comunemente diffusi: dall’hi-tech all’edilizia, la meccanica, i servizi, i trasporti, l’energia, l’impiantistica, la salute, l’ospitalità e l’agroalimentare.
I risultati della ricerca sono di assoluto interesse. I manager intervistati ritengono che le reti d’impresa, a differenza delle singole aziende, offrano maggiori vantaggi nell’affrontare le crisi, grazie alle loro capacità di resilienza e flessibilità organizzativa. Sebbene si siano trovate impreparate alla crisi, le reti d’impresa hanno appreso l’importanza del lavoro congiunto, adottando nuove modalità di lavoro quali gruppi di lavoro ad hoc o lancio di progetti speciali. I modelli organizzativi, però, hanno bisogno di innovarsi, soprattutto sul fronte della governance, per consentire alle reti d’impresa di coevolvere con il proprio contesto di appartenenza. Ciò è dimostrato anche dalle competenze più richieste, in prevalenza di tipo sistemico, che spaziano dalla strategia al comportamento organizzativo, il co-marketing e il lavoro di rete. Più in generale, appare sentita l’esigenza di sperimentare un nuovo modello di business, dove l’integrazione culturale e valoriale possano saldarsi ad un’organizzazione agile, disarticolata ma con una leadership mirata. A questa necessità fanno da supporto gli investimenti 4.0, l’internazionalizzazione delle attività intraprese e la valutazione della net performance.
Particolare risalto viene dato al branding di rete. Per i manager interpellati è assolutamente importante comunicare in modo congiunto la propria identità. Le imprese in rete devo essere in grado di comunicare in maniera organica, come un “tutto” coeso, e non come un semplice aggregato di imprese. Ciò rappresenta indubbiamente il punto più alto di un’evoluzione della governance: ovvero la capacità di gestire una dimensione soft, che va oltre un accordo contrattuale di collaborazione. Ciò che occorre, per un salto evolutivo delle reti d’impresa, è un management olistico, in grado di far presa sulla dimensione immateriale della rete e dare una fisionomia distintiva agli occhi dei propri stakeholder. Una scelta, quest’ultima, anche per consolidare le proprie attività nel medio e lungo periodo. Sì, perché anche il tempo ha la sua parte, e le apprensioni verso il futuro lo testimoniano, specialmente per le difficoltà che investono i settori finanziario, commerciale e logistico. La lezione della crisi ha insegnato molto, ma ora è il momento di agire: investendo sul network management identitario, per meglio affrontare lo scenario post pandemico.
*Sociologo
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