L’Unione europea ha assegnato a tutti gli Stati membri una quota di finanziamenti per superare/combattere la grave crisi dovuta al Covid, sostanzialmente sulla base di tre fondamentali parametri: disoccupazione 2015-2019, inverso pil pro capite, numero di abitanti. Dei 750 miliardi totali del Recovery Fund (Rf), una parte (360 miliardi) si sostanzia in prestiti che ciascun Paese dovrà restituire, un’altra (390 miliardi) è a fondo perduto nel senso che verrà “restituita” da tutti gli Stati membri in maniera proporzionale alla loro partecipazione al bilancio dell’Ue, indipendentemente da quanto abbiano ricevuto (ci possono essere Paesi che “restituiscono” più di quello che ricevono e generalmente sono, come deve essere, i quelli più ricchi; l’Italia, al contrario, beneficerà di una quota a fondo perduto, che dovrà restituire solo in parte).

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha operato utilizzando il cosiddetto “altruismo egoistico”, ben nota categoria della psicologia, sapendo che i Paesi più ricchi in questo momento devono aiutare i più deboli e disagiati, pena la fine dell’Europa, e che la Germania può avere vantaggi, anche in termini economici, produttivi, occupazionali, solo da un’Europa, se non ricca, almeno solida e non alla canna del gas. L’obiettivo dell’Ue, con questa ripartizione, è colmare i divari esistenti tra le varie regioni d’Europa: a un’Italia ipoteticamente “senza Sud”, un’attendibile stima parla di un’assegnazione di soli 74 miliardi. L’Ue ritiene che si possa uscire dalla crisi se i vari Stati riusciranno a risolvere i loro divari di sviluppo interno, avviando processi straordinari di perequazione e ammodernamento che coinvolgano le aree in maggiore ritardo. L’Italia può utilizzare una diversa ripartizione? In teoria sì, ma solo per una parte dei 209 miliardi.

Però si dovrebbe tener conto della volontà del Parlamento: a metà ottobre, sia in Senato sia alla Camera, sono stati approvati documenti che in maniera abbastanza esplicita richiamano il Governo al rispetto dei parametri di calcolo e ripartizione adottati dall’Ue. Da noi, associazioni, politici, studiosi, accademici, economisti, in questi giorni stanno moltiplicando le prese di posizione, gli interventi, gli appelli per chiedere con forza che è sulla base di quei parametri che in Italia devono essere ripartiti gli ingenti finanziamenti. Una stima, quindi, prevede che il 65% circa (135 miliardi almeno) sia “assegnata” al Mezzogiorno. Molti di noi (ciascuno nel suo “piccolo” o “grande”) si stanno battendo per questo risultato, per sensibilizzare tutta l’opinione pubblica, a partire dal Sud, e debellare una diffusa mentalità secondo la quale l’unico motivo per cui il Sud è in difficoltà, è perché non si è impegnato o peggio! Insomma, non bisogna essere rassegnati ma continuare a denunciare e a battersi per la risoluzione della questione meridionale.

L’Aim (Alleanza Istituti Meridionalisti) ha lanciato un appello/manifesto sul rispetto di questi parametri; è nato alla Camera un intergruppo parlamentare, con rappresentanti di tutti i gruppi (escluso quello della Lega, va da sé), che si mobilitano per chiedere che il Rf sia per il Sud ciò che il piano Marshall fu per l’Italia nell’immediato dopoguerra. Ancora, su iniziativa del presidente campano Vincenzo De Luca, si sono riuniti i presidenti di sei delle otto Regioni meridionali che hanno stilato un documento sugli stessi temi e obiettivi. I presidenti di Sardegna e Calabria non hanno partecipato per altri impegni: sono entrambi leghisti (nel momento in cui scrivo non è detto che non sottoscrivano, poi, il documento dei loro colleghi). Le intenzioni del Governo, purtroppo, non sembrano andare nella direzione auspicata.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dichiarando che il Sud sarà ampiamente finanziato, ha citato tra le opere previste l’alta velocità Napoli-Bari: peccato che questo sia un progetto già finanziato, sicché tale affermazione denuncia, ancora una volta, l’utilizzo di fondi straordinari (e/o perequativi) europei in sostituzione di finanziamenti nazionali. Molti ritengono che non si tratti solo di soldi, ma di saperli spendere per progetti validi. Tema peraltro interessante, di cui pure si è parlato in vari convegni e di cui a lungo hanno ragionato personalità come Massimo Villone, Adriano Giannola, Luca Bianchi.

Non si può certo parcellizzare gli interventi, non si può affidare a singoli enti locali la gestione dei finanziamenti. Tuttavia questo spetta al Governo: è indispensabile una regìa nazionale, centralizzata, che prospettando Recovery e innovazione, come formalmente ed esplicitamente chiede l’Ue su alcuni assi strategici, faccia in modo che diminuisca il divario Sud-Nord e che ciascun intervento, in sinergia con gli enti locali, avvenga in un quadro generale di sviluppo e rinnovamento. Tale gestione centralizzata ricorda quella della Cassa per il Mezzogiorno: i periodi in cui si svilupparono queste esperienze videro un Paese intero, il Sud in particolare, avere un balzo significativo dal punto di vista economico, produttivo, civile, sociale, occupazionale. La risoluzione della questione meridionale, evitando un ennesimo, intollerabile scippo al Sud, passa anche da questa enorme occasione del Recovery Fund.