«Per noi questa non è giustizia. Potremo parlare di giustizia quando ci verranno restituiti i nostri beni». Mentre la corte di Caltanissetta condannava il cerchio magico dall’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto per aver messo in piedi un sistema clientelare nella gestione dei beni sequestrati ai mafiosi e agli imprenditori sospettati di essere stati favoriti dai boss, Pietro Cavallotti – membro del Consiglio direttivo della associazione “Nessuno tocchi Caino” e vittima delle misure di prevenzione del sistema Saguto – stava lavorando col consulente alla stesura della perizia per la revoca della confisca. «Il mio appartamento è stato confiscato. A me, alla mia famiglia, quale senso di giustizia darebbe la condanna se non dovesse essere restituito quello che ingiustamente ci è stato tolto?». Una lunga storia, quella della famiglia di Belmonte Mezzagno, che inizia nel 1998 quando i fratelli Cavallotti – padre e zio di Pietro – vengono arrestati nell’ambito dell’operazione Grande Oriente, accusati di associazione mafiosa. Dopo un lungo calvario giudiziario, nonostante la sentenza definitiva di assoluzione, agli imprenditori viene confiscato tutto il patrimonio. Le aziende e le loro vite vengono distrutte. Dietro c’era il sistema Saguto.

Qual è stata la prima cosa che ha pensato quando la corte ha pronunciato la sentenza?
Ho rivissuto un pezzo di vita lungo 22 anni. Abbiamo incontrato la Saguto nel 1999. Da un lato ho subito pensato alla fine della giudice che per anni ci ha perseguitati. Dall’altro lato mi sono chiesto: e ora che succede? La condanna risolve il problema di una legge, quella delle misure di prevenzione, che fa acqua da tutte le parti?

E cosa si è risposto?
La risposta è stata negativa. Perché i problemi rimangono per la mia famiglia e per tutti quegli imprenditori vittime di un ingiusto sequestro preventivo.

Quali problemi?
Parlo di famiglie distrutte. Di intere famiglie che non riescono a immettersi, nuovamente, nel mondo del lavoro perché dopo essere stati colpiti da una misura di prevenzione attorno si crea terra bruciata. Se crei un’altra impresa ti viene sequestrata, se riesci ad avere la fortuna del dissequestro ti ritrovi a gestire un’azienda completamente distrutta. Debiti per milioni di euro, bilanci non depositati durante gli anni dell’amministratore giudiziaria, fornitori non pagati. Tutte queste cose non si risolvono perché Saguto è stata condannata.

Quindi quale sarebbe la situazione?
La politica dovrebbe rivedere il sistema di prevenzione. Ma non credo voglia farlo. Faccio un esempio. Quando il legislatore doveva capire come modificare il Codice antimafia, si rivolgeva alla Saguto in Parlamento. Se questa sentenza fosse spunto per rivedere le misure di prevenzione, allora sarebbe un bene. Ma non è così che viene presentata. Piuttosto Saguto viene etichettata come la mela marcia in un sistema perfetto. Non viene messa in discussione la legittimità dei sequestri e delle confische. Si dirà che il sistema ha gli anticorpi ma non si mette in discussione l’operato di Saguto sui sequestri e sulle confische che faceva.

Cioè?
Ho letto tutte le intercettazioni ambientali e telefoniche acquisite nel processo di Caltanissetta. Si vuole fare passare l’ex giudice come colei che non pagava la spesa, che comprava la laurea per il figlio, che faceva favori ai colleghi. Questo è solo un contorno. Saguto sequestrava patrimoni senza sapere cosa stesse sequestrando. Questo è l’elemento che ritengo più grave. Ci sono intercettazioni in cui i giudici si mettevano d’accordo con i pubblici ministeri sulle prove da fare entrare nei processi per fare le confische.

Prove per dimostrare accuse false in partenza. La sua famiglia, ad esempio, è stata accusata di associazione mafiosa.
È un dato di fatto che con questa accusa, spesso ingiusta, si sia azzerata molta dell’economia siciliana. All’interno dell’amministrazione giudiziaria ci lavoravano parenti di giudici, figli di giudici, amici. Era diventato un ufficio di collocamento per magistrati. Col pretesto della mafia si è generato un sistema in grado di trarre profitto.

Questa sentenza, secondo lei, può essere un punto di partenza o no?
Secondo me è già un’occasione persa proprio perché si parla di “sistema Saguto”. Parliamo piuttosto di misure di prevenzione, di aziende in amministrazione giudiziaria, di imprenditori che hanno subito il sequestro nonostante le assoluzioni. Questa condanna non modificherà di una virgola un sistema fallimentare.

Cosa le ha lasciato dentro questa vicenda?
Tanta amarezza. Mi ha ferito quando l’ex giudice nelle intercettazioni aveva deciso di confiscare il nostro patrimonio senza neanche avere letto la perizia. Mi ha fatto male sentire che voleva mettersi d’accordo con il pm sui documenti da far entrare nel processo per confiscare i beni. La legge dev’essere modificata. E dev’essere chiara per evitare che si rovinino altre famiglie.