Stanno rischiando di perdere il bollino blu dell’“antimafiosità” e la cosa è talmente enorme da poterli fare uscire di senno. Inoltre, sia il senatore Roberto Scarpinato che il deputato Federico Cafiero De Raho cominciano a sentirsi sfiorati dalle inchieste giudiziarie. Il primo perché beccato, sia pur indebitamente in quanto parlamentare, al telefono con l’amico e collega palermitano Gioacchino Natoli, indagato per aver insabbiato un’inchiesta. Intercettato mentre dava suggerimenti il giorno prima della sua audizione alla commissione parlamentare antimafia, di cui lui è membro.

Bollino blu antimafiosità a rischio

E l’altro perché sospettato, grazie al ritrovamento di un documento del 2019, di esser stato perfettamente a conoscenza delle attività parallele di dossieraggio del tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano. Due vicende che si intrecciano perché i due personaggi sono toghe solenni, di quelle che nelle aule di giustizia incedono con il codazzo dei laudatores, e il bollino blu dell’“antimafiosità” non hanno avuto bisogno di conquistarlo, lo avevano di diritto, appiccicato al petto. Uno come prestigioso procuratore generale, l’atro come capo della direzione nazionale, vertice assoluto di ogni indagine sulla criminalità organizzata e il terrorismo.

Il metodo-boomerang

Ma i due personaggi non hanno ancora capito che, da quando si sono fatti eleggere nel loro partito di riferimento per affinità, il Movimento cinque stelle, sono diventati esponenti politici come tutti gli altri, non più dunque intoccabili, anzi toccabilissimi anche da quella magistratura che non disdegna anche nei loro confronti l’uso di quei metodi in cui Scarpinato e De Raho furono maestri, quando indossavano la toga. Non lo accettano e lanciano furibondi avvertimenti. Sanno benissimo che la loro presenza nella Bicamerale che porta il nome, loro caro, di antimafia è imbarazzante, perché la commissione presieduta da Chiara Colosimo, esponente di FdI, ha il compito di indagare proprio dove loro hanno già agito, e spesso, come nei processi contro il generale Mario Mori, fallito. Ma non si arrendono.

Scarpinato e il chiodo fisso Mori

Roberto Scarpinato usa ogni occasione, anche la presentazione di libri, per scagliarsi contro il generale Mori, come se questo fosse ancora un suo imputato. Addirittura lo accusa di essere l’ispiratore della politica della presidente della commissione. Poi butta lì, in spregio delle sentenze assolutorie definitive, i soliti vagheggiamenti sulla mancata perquisizione del “covo” di Riina (falso), piuttosto che sull’aver favorito la latitanza del boss Provenzano (falso). Sono favole, ma il gruppo della storica antimafia militante non demorde. Con l’aiuto anche di colui che fu il pm del processo “Trattativa”, quello che ha qualificato tutta quanta l’inchiesta sui rapporti tra lo Stato e la mafia come la bufala del secolo, Nino Di Matteo, che ancora oggi sostiene esser tutta colpa della cassazione, che sarebbe indebitamente entrata nei fatti, non limitandosi al controllo delle forme e delle procedure.

Conte e la concezione di bullismo

Non poteva mancare, in questa gara di “antimafiosità”, l’arrivo con il petto gonfio del difensore d’ufficio, l’avvocato di Volturara Appula, Giuseppe Conte, capo politico del partito in cui le due toghe sono state elette, una alla camera, l’altra al Senato. Con il consueto tono morbido ha prima di tutto accusato chiunque osi criticare i suoi illustri assistiti di fare del “bullismo”. Cioè, chiedere la cortesia dell’astensione dai lavori della commissione a chi si trovi in conflitto di interessi, sarebbe bullismo. Magari il “bullizzato” farebbe meglio a spiegare invece, come sarebbe opportuno, come mai un documento, di cui l’ex vicepresidente della Dna Giovanni Russo ha riconosciuto la paternità anche se non era firmato, certifica il fatto che fin dal 2019 sarebbero state illustrate a Cafiero De Raho le attività parallele di dossieraggio di Striano. Invece si preferisce buttare il pallone in tribuna, e calunniare (calunnia calunnia, qualcosa resterà) la presidente Chiara Colosimo su parentele e frequentazioni. Nella competizione per il bollino blu.

Riceviamo e pubblichiamo dal senatore Scarpinato

In riferimento all’articolo pubblicato ieri sul vostro giornale a firma di Tiziana Maiolo, mi trovo costretto a evidenziare come l’autrice riferisca i fatti in modo gravemente approssimativo, producendo di conseguenza una errata informazione. Nell’articolo si legge che io sarei stato “beccato al telefono con l’amico e collega palermitano Giacchino Natoli, indagato per aver insabbiato un’inchiesta”. In realtà, quando sono stato intercettato mentre parlavo al telefono con l’ex collega e amico di vecchia data Gioacchino Natoli, nessuno dei due sapeva che lui era o sarebbe poi stato indagato dalla procura di Caltanissetta. La circostanza che era indagato si è appresa solo nei primi giorni di luglio 2024, cioè molti mesi dopo che Natoli era stato sentito dalla commissione Antimafia. Aggiungo che Natoli non era stato convocato dalla commissione Antimafia né come testimone né in libera audizione. Era stato lui a chiedere di essere audito e sui fatti per i quali aveva chiesto di essere ascoltato io non ho posto alcuna domanda. Così come per altre testate giornalistiche, valuterò di adire le vie legali in sede penale e civile nei confronti del vostro giornale se non pubblicherà, con lo stesso risalto attribuito all’articolo di Maiolo, questa mia replica.

 

 

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.