Se non è la rivincita del generale Mario Mori e del colonnello Giuseppe De Donno, ma anche e soprattutto della famiglia Borsellino, poco ci manca. Perché con l’interrogatorio ieri mattina a Caltanissetta del magistrato Giuseppe Pignatone, indagato per favoreggiamento della mafia come già il suo ex collega Gioacchino Natoli, che si era avvalso della facoltà di non rispondere, si apre uno squarcio sul contesto tragico e marcio del 1992, con le uccisioni di Falcone e Borsellino.

Mafia e appalti

Non si può ancora intuire se la procura di Caltanissetta riuscirà a illuminare quel che fu la realtà del dossier “Mafia e appalti”, steso dagli uomini del Ros, Mori e De Donno con la supervisione del giudice Giovanni Falcone. Né quel che era nella testa di Paolo Borsellino, che quel fascicolo aveva ereditato e che aveva mostrato grande interesse al riguardo, tanto da lamentarsi, nell’ultima riunione del 14 luglio con i colleghi, perché non si dava sufficiente attenzione al problema. Cinque giorni dopo esplode la bomba in via D’Amelio, seminando morte, del magistrato e di cinque uomini della scorta. Ci fu un’accelerazione sulla decisione della mafia di uccidere Borsellino? Ne sono convinti i familiari del magistrato e il loro legale Fabio Trizzino, che ha svolto nel settembre scorso un’appassionata arringa nelle audizioni alla Commissione Bilaterale Antimafia. E ci fu trascuratezza da parte della procura di Palermo presieduta da Pietro Giammanco nell’esaminare ogni ipotesi e ogni pista investigativa che avrebbe aiutato a capire la genesi e il motivo politico per cui Borsellino andava ammazzato in tutta fretta?

Il falso pentito e il processo trattativa

Giammanco non c’è più, ma Natoli e Pignatone, che nel frattempo è passato dai vertici delle procure di Reggio Calabria e Roma fino al Tribunale dello Stato Vaticano, qualcosa dovranno pur ricordare. Soprattutto uno che aveva voluto a tutti i costi trovare la mafia a Roma, mettendo in piedi quel baraccone di “Mafia Capitale”, che fortunatamente aveva poi perso la mafia per strada, nei gradi successivi di giudizio. Ma come, la cerchi a Roma e non la trovi a Palermo? Intanto sono passati 32 anni, cioè secoli in cui prima ci si è trastullati con il falso pentito Enzo Scarantino, e poi con il processo “trattativa”. Che non solo ricostruiva la storia d’Italia come pura storia istituzionale criminale, in cui i più alti vertici dello Stato giocavano a tresette con i boss di Cosa Nostra, ma al contempo teneva nascosto un possibile forte indizio sul perché delle stragi. Il capitolo degli appalti.

I dettagli

Eppure gli elementi per continuare e allagare le indagini sul dossier di Mori e De Donno erano lì sotto il naso degli investigatori. Che hanno preferito invece mandare alla sbarra, e processarli per 30 anni, gli stessi investigatori. Così come si è voluta trascurare, perché ritenuta “irrilevante”, l’indagine del giudice Augusto Lama di Massa Carrara. Era l’inizio degli anni novanta, nel dossier siciliano su mafia-appalti compariva già la Calcestruzzi della famiglia Ferruzzi, quando arrivò alla procura di Palermo anche il rapporto che segnalava una relazione tra gli interessi del gruppo Ferruzzi-Gardini e Antonino Buscemi, socio nello sfruttamento delle cave toscane. Il dossier di Lama fu però archiviato in tre mesi, a Palermo.

Le intercettazioni

Non solo, ma il maresciallo della guardia di finanza Franco Angeloni, che affiancava il giudice Lama a Massa Carrara, aveva affermato di aver inviato a Palermo, insieme alla relazione del magistrato, 27 bobine di intercettazioni, che paiono sparite. O meglio, pare che di recente qualcuna sia stata ritrovata, insieme ad alcuni brogliacci. Trasandatezza? Scarsa professionalità? O sottovalutazione perché magari pareva più interessante correr dietro ai fantasmi del “Processo trattativa”, la colpevole bufala del secolo. Fatto sta che oggi a Caltanissetta si indaga proprio su coloro, gli ex pm palermitani Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli, con il generale della Guardia di finanza Stefano Screpanti, che avevano archiviato quel filone d’inchiesta su mafia e appalti. Se insabbiamento c’è stato, è giusto chiedersi il perché. Lo stesso Borsellino aveva parlato di servitori dello Stato “infedeli”. Alludeva solo al chiacchieratissimo Giammanco? Le accuse della procura nissena nei confronti di Pignatone, Natoli e Screpanti (Giammanco è deceduto nel 2018) sono pesanti.

Il filone trascurato

I magistrati infatti non si limitano a sospettare che gli inquirenti dell’epoca abbiano trascurato un filone di indagine per sottovalutazione. Ma, dicono i pm di Caltanissetta, i colleghi palermitani avrebbero “eluso le investigazioni”, svolgendo un’“indagine apparente” e trascurando la richiesta di reali e durature intercettazioni, limitandosi invece a proporle per un periodo breve e insufficiente. “Un brevissimo lasso temporale”, è il rimprovero, e “solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione”. Inoltre, non sarebbero state trascritte conversazioni particolarmente interessanti. Un bel carico da novanta. La difesa pare inesistente. Gioacchino Natoli, sentito il 5 luglio, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Aveva però parlato nell’audizione davanti alla Commissione Bicamerale Antimafia, difendendo il proprio operato e indicando il filone toscano delle indagini come insignificante.

La deposizione del “pentito”

Stessa sottovalutazione da parte del generale Screpanti. Ma diverse udienze della Commissione avevano lasciato spazio a ben altra valutazione sull’importanza dell’inchiesta mafia-appalti, con le parole dell’avvocato Fabio Trizzino. Il quale aveva ricostruito quando risulta da diverse sentenze dei processi di mafia. Con le dichiarazioni di Giovanni Brusca, il quale aveva raccontato le preoccupazioni di Cosa Nostra di fronte all’ipotesi che Giovanni Falcone potesse diventare, cosa che poi non fu perché silurato dalla magistratura di sinistra, procuratore nazionale antimafia, perché si temeva un’accelerazione delle indagini sugli appalti. C’era stata poi la deposizione del “pentito” Angelo Siino, e c’erano state le diverse prese di posizione pubbliche dello stesso Falcone. Eppure sono passati oltre trent’anni, e siamo ancora lì. Ma nel frattempo abbiamo passato il tempo con l’imbroglio del “processo trattativa”, ottimo fumo negli occhi per nascondere quello su “mafia-appalti”.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.