Ci si può interrogare su perché Silvio Berlusconi abbia scelto di uscire completamente allo scoperto proprio in questo momento e in modo tanto esplicito. La differenza tra le precedenti esternazioni e quest’ultima sono infatti evidenti: qui non si tratta di frasi pronunciate in un consesso riservato e poi trapelate. Il Cavaliere, stavolta, voleva che la sua posizione fosse nota ovunque.

Le riposte possono essere molte e non incompatibili tra loro. È probabile che il leader di Forza Italia, nel pieno di una prova elettorale il cui risultato era quasi noto in partenza, mirasse a indebolire un’alleata che sta cannibalizzando i suoi consensi colpendola nel punto di forza a livello internazionale, l’immagine di premier capace di garantire lo schieramento atlantista dell’Italia tenendo a bada alleati di tutt’altro avviso. È certo che tenesse conto di sondaggi che registrano una crescente disaffezione degli italiani nei confronti di uno schieramento a sostegno di Kiev che sconfina nella belligeranza. È più che possibile che c’entri molto il rapporto personale con Putin.

Berlusconi, si sa, non ha mai diviso il personale e il politico e tra i suoi difetti, sul piano personale, non figura la slealtà. Ma né le considerazioni tattiche, certamente presenti, né quelle caratteriali implicano malafede. Le cose dette all’uscita dal seggio Berlusconi le pensa davvero e non da ieri. Ed è vero che da premier avrebbe almeno provato a battere un’altra strada, come fece alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, quando tentò invano sino all’ultimo di convincere Bush jr. a desistere.

Berlusconi ha riconosciuto le ragioni di Mosca, il che in realtà non equivale affatto a negare quelle di Kiev o a spalleggiare l’invasione. Si tratta, al contrario, dell’unica posizione che possa portare a una soluzione diplomatica, cioè a un compromesso. La distinzione semplificata a confronto tra il bene e il male, tra il torto assoluto e la ragione completa non consente compromessi. Prevede solo la sconfitta senza appello del nemico. L’afasia della diplomazia nella guerra in Ucraina, l’incapacità e forse l’impossibilità anche solo di immaginare un negoziato che non passi per la sconfitta aperta del nemico, dunque nel caso dei Paesi Nato della Russia, deriva proprio dall’impostazione integralista che semplifica quel conflitto dipingendolo come una sorta di ripetizione dal vero di Star Wars: una guerra impari contro l’Impero del Male. Solo che qui i morti e le devastazioni sono vere.

Per quanto dettate anche da un calcolo opportunistico, come l’esigenza di infragilire la premier sul piano internazionale per indebolirla all’interno e forse, al momento opportuno, abbandonarla, le frasi deflagranti di Berlusconi erano pacifiste, non putiniane. Guardavano in faccia la realtà che tutti i leader occidentali si nascondono e nascondono: non c’è soluzione diplomatica senza compromesso e non c’è compromesso senza riconoscere almeno alcune ragioni di entrambi gli antagonisti. In questo senso le note del ministro Tajani prima e di Forza Italia poi sulla determinazione nel continuare a difendere l’indipendenza dell’Ucraina sono meno goffe e ipocrite di quanto possa apparire. Dire che l’Ucraina ha la sua parte di responsabilità nello scoppio della guerra non significa infatti né revocare in dubbio l’indipendenza dell’Ucraina né giustificare l’invasione.

Per Giorgia Meloni è una posizione inaccettabile. Perché l’atlantismo estremo è il suo punto di forza, la carta da calare sul tavolo delle trattative internazionali ma anche perché quella è la sua cultura, compiutamente di destra, più thatcheriana che fascista, convinta della necessità delle prove di forza e poco incline al compromesso. L’aspetto stupefacente è casomai che ogni accenno al compromesso scandalizzi la sinistra. Non si tratta di un fronte tra tanti. Se c’era un elemento costitutivo dell’identità di sinistra, tanto possente da superare ogni differenza era il pacifismo di fondo, la prevalenza della diplomazia sulla forza delle armi. Che questa posizione sia oggi brandita solo dall’uomo che per quasi trent’anni è stato il leader indiscusso della destra italiana, tacciato quasi di fascismo o comunque di pulsioni autoritarie, è tanto eloquente quanto desolante.

Del resto era già successo, su un elemento altrettanto costitutivo dell’identità della sinistra, di ogni sinistra: la giustizia. Qualche decennio fa, in fondo non moltissimi, sarebbe stata inimmaginabile una sinistra disinteressata alle garanzie, ansiosa di delegare ogni protagonismo in materia di giustizia alla magistratura. La sinistra si era ridotta da un pezzo a dover prendere lezioni dal leader della destra su quel fronte. Ma, nonostante la guerra alla Serbia e i bombardamenti su Belgrado, che hanno segnato un vero spartiacque storico, chi avrebbe mai detto che lo stesso copione si sarebbe riproposto sulla guerra e sulla pace?