Il 14 aprile 1931, poche ore dopo che a Barcellona era stato proclamato da Francesc Macià, leader di Esquerra Repubblicana, lo Stato catalano, sia pure nell’ambito di una futura federazione iberica, veniva anche proclamata in Spagna la Seconda Repubblica e poco dopo si costituiva un governo provvisorio repubblicano sotto la guida del moderato Alcalà Zamora. La storia costituzionale spagnola prima di quel periodo si era già caratterizzata per un’instabilità di fondo delle Costituzioni e dei regimi politici: basti vedere l’elenco offerto dall’ottimo sito dell’Università di Torino sulle Costituzioni storiche: http://www.dircost.unito.it/cs/paesi/spagna.shtml.

All’instabilità di fondo non avevano fatto eccezione le modalità quasi rocambolesche e impreviste con cui si era giunti a quell’esito e non avrebbero fatto eccezione neanche le vicende successive della Seconda Repubblica. Dopo l’esaurimento del consenso alla dittatura di Primo De Rivera l’anno precedente e l’instaurazione di una cosiddetta “dittablanda”, un periodo di transizione governato da Corona e militari, le elezioni comunali indette per il 12 aprile dal nuovo Governo del generale Aznar-Cabañas, avevano dato una sorprendente maggioranza ai repubblicani nelle aree urbane, comprese quelle della Catalogna, in cui il voto era più libero. Era un contesto delicatissimo. Infatti erano aperte in quel momento simultaneamente molte gravi questioni: sociale, religiosa, militare, agraria e autonomistica. Il Re decise di fuggire senza abdicare. Il Governo provvisorio indisse quindi elezioni per un’Assemblea Costituente in cui si affermò di nuovo una maggioranza radical-socialista che dichiarò il Sovrano colpevole di alto tradimento e giunse ad approvare la nuova Costituzione nel successivo dicembre. Un testo quasi sconosciuto in Italia se non grazie a un bel commento di Franco Pierandrei del 1946 nella collana predisposta dal Ministero per la Costituente. Il testo esordiva parlando nel suo articolo 1 di “Repubblica democratica di lavoratori di ogni classe”, con un evidente intento di compromesso tra forze diverse.

Analogo intento vi era, sempre nel medesimo articolo 2 con l’originale definizione di “Stato integrale compatibile con la autonomia dei Municipi e delle Regioni” per riconoscere le aspirazioni dei movimenti regionalisti, a cominciare dalla Catalogna, che avevano contribuito in modo decisivo alla caduta della Monarchia. Ad essa si raccordava anche la tutela delle lingue regionali prevista dall’articolo 4. Tra i principi qualificanti del Titolo preliminare vi erano anche agli articoli 6 e 7 il ripudio della guerra come strumento della politica nazionale e l’apertura al diritto internazionale nel nuovo clima segnato dalla Società delle Nazioni. Il principio decisamente più rivoluzionario era quello del rifiuto della religione di Stato, affermato nell’articolo 3. Le parti successive della Costituzione sviluppavano poi questi principi in modo diverso. Lo “Stato integrale”, visto come intermedio tra quello centralizzato e quello federale, manteneva ferme le premesse di una ricerca di equilibrio e di compromesso. L’articolo 12 dava a ciascuna Regione l’iniziativa per il proprio Statuto, che doveva però alla fine essere approvato dal Parlamento. Gli elenchi di materie per le competenze di Stato e Regioni erano poi analoghi alla Costituzione tedesca di Weimar del 1919 e a quella austriaca del 1920: nell’articolo 14 erano previste quelle esclusive dello Stato, nel 15 quelle in cui alle Regioni era data competenza esecutiva modulata dal Parlamento e il 16 stabiliva una competenza residuale delle Regioni.

Il primo e unico Statuto approvato fu quello catalano il 21 settembre 1932, mentre quello basco non riuscì ad arrivare fino a quella tappa. Viceversa la separazione tra Stato e Chiesa cattolica era costruita con intento palesemente ostile, non solo escludendo finanziamenti ma anche costituzionalizzando la soppressione dei gesuiti in quanto prevedevano un vincolo di obbedienza speciale al Papa visto in contraddizione con la fedeltà allo Stato e una serie di limiti molto stretti anche per gli altri ordini religiosi (art. 26). Anche la libertà religiosa in genere era vista con sospetto: tutte le manifestazioni pubbliche della medesima erano soggette ad autorizzazione preventiva (art. 27). Queste norme ebbero effetti gravi ed immediati sui lavori della Costituente: suscitarono il ritiro degli esponenti cattolici dai lavori dell’Assemblea e le dimissioni di Alcalà Zamora dalla guida del governo contribuendo a renderla una Costituzione di parte, non condivisa.

Ciò nonostante, il testo aveva indubbi pregi per l’epoca come il suffragio universale femminile (art. 36), il riconoscimento dei sindacati (art. 39), l’uguaglianza tra i coniugi (art. 43), più in generale un ampio riconoscimento dei diritti sociali, seguendo il modello di Weimar, un Tribunale Costituzionale (articoli da 121 a 124) e una procedura rigida per la revisione (art. 125). Secondo l’impostazione delle sinistre, e nonostante il carattere regionale dello Stato, per il Parlamento fu fatta una scelta monocamerale con alcuni tratti assembleari: la Camera poteva sfiduciare non solo il governo, ma anche i singoli ministri (art. 64) e il deterrente dello scioglimento anticipato era disincentivato prevedendo che ove il capo dello Stato, nel corso del suo mandato di sei anni, avesse proceduto a un secondo scioglimento il primo atto della nuova Camera avrebbe dovuto essere il voto su una possibile destituzione (art. 82). Norma di cui fu vittima Alcalà Zamora che nel frattempo era stato recuperato alla fine dell’approvazione del testo con l’elezione a Capo dello Stato.

La Costituente proseguì poi i lavori per varare alcune importanti riforme legislative, a cominciare dalla espropriazione e socializzazione dei latifondi e dalla nazionalizzazione delle fabbriche. Ciò mobilitò larga parte dell’opinione pubblica contro la maggioranza uscente e portò le destre a vincere nelle elezioni del 1933. Nelle successive elezioni del febbraio 1936 tornarono a vincere le sinistre, confermando una frattura che poi sfociò nella Guerra Civile. Queste vicende furono ben presenti ai Costituenti spagnoli nel 1977 che si prefissero non solo la redazione di un ottimo testo, ma anche di un “nucleo del consenso” come lo definì uno degli autori, il socialista Peces Barba, che partisse primariamente dai due partiti più forti che avrebbero dovuto alternarsi al Governo (Ucd e Psoe), ognuno dei quali avrebbe dovuto anche coinvolgere l’altra forza politica minore del suo schieramento, Ap a destra (il futuro Pp, che poi divenne egemone a destra, una volta esplosa l’Ucd) e il Pce a sinistra.

Anche lo specifico rapporto tra Stato e Chiesa cattolica fu risolto per tempo, già prima del lavoro costituente, con una separazione questa volta non ostile, che combinava aconfessionalità dello Stato con rapporti pattizi con la Chiesa cattolica e con altre confessioni religiose. Non del tutto risolto è stato invece il rapporto Stato-Regioni, pagina lasciata sostanzialmente aperta nel testo e principale oggetto di conflitti negli ultimi anni. La lezione, comunque, del 1931 fu appresa bene nel 1977-1978: i testi costituzionali non poggiano solo sulla forza dei loro enunciati, ma sulla capacità di costruzione di un consenso sociale e politico, che regga anche alle alternanze di governo.