Un milione di test al giorno per dieci giorni. Viaggerà su questi ritmi la strategia di Wuhan per rispondere alla nascita di un nuovo focolaio nella città dove il virus si sarebbe sviluppato. La campagna è stata ribattezzata la “battaglia dei dieci giorni” e ha l’obiettivo di compiere uno screening di massa su tutta la popolazione che conta oltre 11 milioni di abitanti. Un milione di tamponi è stato condotto già prima del 29 aprile, perciò mancano all’appello 10 milioni di tamponi. Si comincerà dalle persone anziane e dalle comunità che vivono in zone più densamente popolate.

Il piano è stato programmato dopo i nuovi contagi che si sono registrati nella città della provincia dello Hubei. Domenica 10 maggio si era registrato un nuovo positivo dopo oltre un mese. Poi sono stati registrati altri cinque casi. Il primo a essere individuato era un uomo di 89 anni, dell’area di Sanmin, asintomatico. Gli altri cinque contagiati abitavano nello stesso complesso residenziale dove sono stati condotti 5.000 test.

Per la campagna di tamponi ogni distretto ha presentato un piano di azione in base alle disposizione del quartier generale per la Prevenzione e il Controllo. Dieci milioni di persone saranno sottoposte quindi ai test dell’acido nucleico. Il segretario del Partito Comunista cinese dell’area, Zhang Yuxin è stato rimosso dal suo incarico per “incapacità nella prevenzione e nel controllo”. Diverse critiche sono state poste infatti sulla gestione dell’emergenza, soprattutto alle autorità locali. L’ipotesi più accreditata da parte degli esperti è che il virus sia partito da uno dei wet market di Wuhan, dove si vendono e si macellano spesso in presenza dei clienti animali, anche appartenenti a specie rare. Probabilmente in uno di questi spazi il virus, di origine animale, ha compiuto il salto verso l’essere umano. Gli Stati Uniti hanno ipotizzato in più occasioni – sia il presidente Donald Trump che il segretario di Stato Pompeo – la teoria che il virus sia nato, per errore o negligenza, in un laboratorio di Wuhan. Accuse ancora non provate. Pechino è stata accusata anche di non aver reso subito note l’emergenza e la dimensione del contagio che poi è diventato pandemia globale fino a causare 298.185 morti, dati della Johns Hopkins University.

La città di Wuhan ha registrato 3.869 decessi e 50.339 positivi. Secondo alcuni media i dati sarebbero però inferiori alle reali conseguenze del contagio: a provarlo, stando ad alcune inchieste, le lunghe file viste ad aprile presso i funeral parlour della città per ritirare le ceneri dei familiari deceduti. Wuhan ha comunque ricominciato a vivere dopo il lockdown durato dal 23 gennaio fino all’8 aprile. Le scuole hanno riaperto e le attività produttive hanno ricominciato a funzionare come i trasporti pubblici. Due le criticità con le quali Pechino fa i conti in questo periodo: i contagi di ritorno dall’estero e un probabile nuovo focolaio nella provincia dello Jilin, al confine con la Corea del Nord, che è stata isolata dopo la scoperta di 11 positivi. Per prevenire un nuovo focolaio a Wuhan le autorità hanno dunque previsto un’ampia attività di monitoraggio.

Redazione

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