La notizia diffusa dai sindacati di polizia penitenziaria del lancio di uno zoccolo, da parte di un detenuto nel carcere di Poggioreale, che ha colpito al volto la comandante del reparto, si presta a una serie di valutazioni. Innanzitutto va condannato il gesto, perché la violenza – da chiunque esercitata – non va mai giustificata. Ma ciò non ci esime dall’approfondire quanto accaduto. Sull’episodio, allo stato, ci sono esclusivamente i comunicati dei sindacati che chiedono provvedimenti per «stroncare la spirale di violenza che caratterizza le carceri campane». A dicembre, nel medesimo istituto, un detenuto aveva aggredito quattro agenti. Nell’attesa di conoscere anche la versione del lanciatore dello zoccolo, non solo nel corso dell’indagine interna, ma anche da parte della magistratura, non possiamo che condividere la necessità di «stroncare la spirale di violenza» di questi giorni.

Cosa fare? La polizia penitenziaria chiede di abolire la vigilanza dinamica e avere in dotazione taser e bodycam, cioè pistole elettriche e telecamere da indossare. I detenuti dovrebbero restare chiusi nelle loro stanze e, in caso di ribellioni, sarebbero colpiti con i raggi della pistola mentre gli agenti potrebbero filmare quanto avviene. Il carcere necessita di maggiore trasparenza, perché resta un mondo sconosciuto dove, in passato e anche recentemente, sono avvenuti episodi sui quali non è stato possibile indagare con serenità. Ben vengano, dunque, le telecamere nei luoghi comuni a tutela di tutti, gestite non dal singolo individuo ma da una centrale che le tenga sempre accese e ne preservi i dati nell’interesse generale di un corretto rapporto tra il detenuto e coloro che nell’istituto vi lavorano.

Le immagini diffuse, alcuni giorni fa, della spedizione punitiva di ben dieci agenti – oggi imputati per il delitto di tortura – nei confronti di un detenuto, dimostrano l’utilità di tale soluzione. Quanto all’uso dei taser, la proposta appare del tutto fuori luogo per la sua accertata pericolosità perché – come dichiarato dall’azienda che lo produce – ha un rischio di mortalità pari allo 0,25%. Cioè il raggio, pur se raramente, può uccidere. La posizione d’inferiorità del detenuto rispetto a coloro che devono vigilare, inoltre, la rende del tutto inutile. Restiamo, come sempre, sorpresi dalle dichiarazioni corporative dei sindacati di polizia penitenziaria che invece dovrebbero, proprio perché chiamati a tutelare gli interessi di una categoria di dipendenti pubblici, chiedere che negli istituti di pena vengano rispettati i principi costituzionali e le norme dell’ordinamento penitenziario.

A Poggioreale, per esempio, manca il regolamento interno previsto dal 1975. Vi è un cronico sovraffollamento. Alcuni padiglioni sono fatiscenti. Vi sono cameroni dove sono rinchiuse 14 persone, con unico servizio igienico, in condizioni vergognose. Nel padiglione Livorno, luogo dove è avvenuto il lancio dello zoccolo, vi sono stanze anche con nove detenuti e letti a castello a tre piani. Riscaldamento non sempre funzionane e acqua calda disponibile solo al mattino e per poche ore. Le docce in comune sono completamente ammuffite e mal funzionanti. I detenuti lamentano la presenza di topi e insetti.

Le attività trattamentali sono riservate a pochissime persone per mancanza di spazi, di risorse e di operatori. A questo quadro drammatico si è aggiunto il pericolo concreto – per l’impossibilità di garantire il distanziamento personale – di contrarre il virus, mentre non si conosce quando i detenuti e lo stesso personale dell’amministrazione penitenziaria potranno accedere ai vaccini. Ecco perché la tensione tra i detenuti è altissima e la possibilità di reazioni scomposte più che probabile, ma com’è possibile che non si comprende che per rasserenare gli animi – anche quelli della polizia penitenziaria – basterebbe applicare le leggi che già ci sono? Nell’interesse di tutti, di chi vive queste situazioni, di chi ci lavora e per la dignità stessa del nostro Paese.