Nel paese è iniziata la fase 2. Ed anche in carcere. Dal 18 maggio riprendono, anche se con diversi limiti, e a quanto ci risulta non ovunque, i colloqui in presenza dei detenuti con i loro familiari, dopo più di due mesi in cui ci si poteva guardare negli occhi solo in videoconferenza. Ma la normalità, parola strana per un luogo anomalo come il carcere, è ancora lontana. Passeranno mesi prima che le attività di formazione, il lavoro, lo sport o la socialità tornino quelli di prima. Antigone intanto ha presentato ieri Il carcere al tempo del coronavirus, il nostro XVI rapporto sulle condizioni di detenzione, per provare a raccontare cos’è successo in carcere fino ad oggi.  Un’impresa non semplice se si pensa che, per quanto mi riguarda per la prima volta da quando faccio parte dell’associazione, non ci è stato possibile entrare in carcere per vedere con i nostri occhi cosa stava succedendo. Ed è successo di tutto.

Dalla fine di febbraio a metà maggio in carcere ci sono 8.551 detenuti in meno, un calo non da poco, anche se le presenze restano al disopra della capienza regolamentare, che è di 50.931 posti. Un calo che si è concentrato nelle regioni del nord, ma che lascia molti istituti, anche nelle zone più colpite dalla pandemia, ancora troppo affollati.
Il calo è dovuto in parte alle misure adottate dal Governo con il decreto “Cura Italia”, ma solo in parte, dato che i numeri erano già iniziati a scendere da prima. Assai più del decreto ha probabilmente contato la volontà degli operatori e dei magistrati di evitare la catastrofe.  E per fortuna ad oggi quella catastrofe non c’è stata. I primi casi si sono registrati a partire da metà marzo e al 15 maggio erano 119 i detenuti contagiati, di cui 2 in ospedale, mentre erano 162 i contagi tra il personale. 8 ad oggi i decessi, 4 tra i detenuti e 4 tra gli operatori operatori (2 agenti e 2 medici). In effetti nella maggior parte degli istituti non si è verificato nemmeno un caso ma dove il virus è entrato, come a Verona dove si è parlato di 29 casi di Covid-19, o Torino con 67 contagi, si sono registrati numeri molto alti e situazioni assai difficili da gestire. E il pericolo non è ancora passato.

Ma nel frattempo si sono verificate altre catastrofi. Rivolte durate giorni che hanno coinvolto decine di istituti e che sono costate la vita a 13 persone, ed un clima di ansia e di paura, per detenuti e personale, di cui anche noi siamo stati investiti. Abbiamo infatti ricevuto centinaia di richieste di aiuto da amici e familiari che volevano sapere cosa stesse succedendo ai loro cari, come stessero cambiando le regole del carcere, quali fossero in un dato istituto il numero dei contagi e le misure di prevenzione. E noi abbiamo provato a rispondere, coinvolgendo tutti i nostri osservatori e tutti i nostri volontari, che hanno costituito una task force impegnata a rispondere a tutte le richieste e alle segnalazioni che arrivavano.

In alcuni casi anche di fatti gravissimi, come le violente rappresaglie a danno di detenuti che si sarebbero verificate dopo le proteste nelle carceri di Milano “Opera”, Pavia, Santa Maria Capua Vetere e Melfi, a seguito delle quali nell’arco di un mese abbiamo presentato quattro esposti all’autorità giudiziaria. E nel frattempo il carcere, oltre che cambiare ritmi, cambiava anche aspetto. Fuori venivano installati tendoni per il pre-triage, per monitorare gli ingressi, mentre dentro interi reparti venivano chiusi, dove possibile, per fare spazio a sezioni di isolamento o di quarantena.

E mentre cresceva la separazione tra il dentro e il fuori, questo muro sempre più alto veniva scavalcato da nuovi strumenti di comunicazione. Oltre ad aumentare il numero di telefonate a disposizione di cui ciascun detenuto si affacciavano sulla scena strumenti come Skype o Whatsapp, gli stessi con cui noi tutti abbiamo familiarizzato in questi mesi. Nel rapporto pubblicato ieri proviamo a raccontare le molte sfaccettature di questa trasformazione, provando anche ad immaginare che aspetto avrà il carcere che troveremo alla fine del tunnel.