«Quando in Italia si sono imposte le prime misure anti contagio sono scoppiate le rivolte nelle carceri. Poche immagini sono passate sugli schermi, poliziotti antisommossa, volanti, droni, lacrimogeni. Ci hanno detto che erano morti 13 detenuti, forse 15. Per metadone trovato nelle farmacie delle carceri. Nessuna lesione sui corpi. Poi tutto è stato dimenticato. Chi è in carcere è già lì per non lasciare traccia». Si concentra anche sui più indifesi, sugli ultimi degli ultimi la riflessione di Donatella Di Cesare autrice del saggio “Virus sovrano? L’asfissia capitalistica”, 89 pagine per le edizioni Bollati Boringhieri.

Di Cesare insegna filosofia teoretica alla Sapienza di Roma e in passato aveva già scritto di altri “ultimi”, soprattutto immigrati e di “emergenze” varie. Nel saggio si sottolinea che la crisi sanitaria non può essere il pretesto per aprire un laboratorio autoritario. «Questo non vuol dire rifiutare in modo ingenuo e avventato quei rimedi e quelle cure che possono fermare il propagarsi del virus ma le misure securitarie devono rendere vigilanti e spingere a diffidare perfino di se stessi e delle proprie pulsioni – scrive l’autrice – non si può lasciare che l’epidemia inauguri un’era del sospetto generalizzato dove ognuno è per l’altro un untore potenziale una minaccia permanente. La conseguenza sarebbe non avere più un mondo in comune, non condividere più lo spazio pubblico della polis».

Il saggio ricorda che la concorrenza selvaggia è giunta persino al rifiuto di spedire materiale medico a chi ne aveva bisogno, la Ue per l’ennesima volta si è rivelata una assemblea scomposta di comproprietari, un coacervo di nazioni che a colpi di compromessi vacillanti si contendono lo spazio per difendere ciascuno i propri interessi. A tutto vantaggio di regimi autoritari e sovranisti. Era stato Salvini a invocare i pieni poteri molto prima dell’epidemia. Poi imitato anche da “avversari”. La xenofobia di Stato ha trovato un nuovo nemico nel “virus straniero”. La nuova cultura del complotto dissemina il mondo di nemici.

E se il coronavirus colpisce il corpo la pandemia è anche una esperienza psichica. Il rischio degli arresti domiciliari di massa è una implosione psichica dagli effetti imprevedibili, il malessere si acuisce e si prolunga. E il carcere tornando a bomba è il sempreguale senza futuro, è il tempo incarcerato. Siamo anestetizzati all’infelicità degli altri tanto più se sono detenuti. Il nostro occhio su di loro è quello dello Stato. La desolazione penitenziaria non deve trapelare. “Bisogna chiudere le porte e buttare via la chiave”.

Queste parole sono scandite spesso da una compiaciuta freddezza vendicativa. Qualche moderato ricorda Di Cesare chiede meno sovraffollamento e più diritto ma diritto in carcere non è una contraddizione in termini? Ma metà mondo ai domiciliari non vuol dire prigionia generalizzata perché ogni confronto è privo di senso. La soglia del carcere non viene meno. Da una parte il mondo di fuori dall’altra quello recluso.