Tredici di reclusione per Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri che pestarono Stefano Cucchi dopo il suo arresto e per questo sono stati condannati a 12 anni in primo grado. La richiesta in Corte d’Assise d’Appello, a Roma, arriva dal procuratore generale Roberto Cavallone che parlando davanti ai giudici, sottolinea: “Se siete in grado di dire che senza quel pestaggio Cucchi non sarebbe morto, allora il reato di omicidio preterintenzionale non c’è. Ma io non credo che siate in grado di dirlo”.

“Lo hanno massacrato di botte – aggiunge – quel tipo di reazione non trova alcuna giustificazione”. Chiesta anche la condanna a quattro anni e mezzo per il maresciallo Roberto Mandolini, accusato di falso poiché avrebbe coperto quanto accaduto, e l’assoluzione, perché il fatto non sussiste, di Francesco Tedesco, il carabiniere che denunciò i suoi colleghi e in primo grado venne condannato per falso.

“In questa storia abbiamo perso tutti – evidenzia Cavallone – Stefano, la sua famiglia, lo Stato”. Poi aggiunge: “Dietro le carte dei procedimenti c’è la vita delle persone. Quanta violenza siamo disposti a nascondere ai nostri occhi da parte dello Stato senza farci problemi di coscienza? Quanto è giustificabile l’uso della forza in certe condizioni? Noi dobbiamo essere diversi. Siamo addestrati a resistere alle provocazioni. E in questa vicenda nessuno ha fatto una bella figura”, perché Stefano “era stato preso in custodia dallo Stato”, e “dopo l’arresto doveva andare in ospedale, non in carcere”.

“Oggi è stata un giornata molto emozionante, commovente”  sono le parole di Ilaria Cucchi, sorella della vittima. “Ripenso a Stefano, agli ultimi giorni della sua vita, alla sua sofferenza, alla maniera in cui è stato lasciato solo. Forse mai avrebbe potuto immaginare che un giorno, a distanza di più di 11 anni, sarebbero state dette delle parole per chiedere che venga fatta giustizia fino in fondo per la sua morte”. Ilaria Cucchi ha poi aggiunto: “Io credo che di fronte a fatti del genere non possono esistere attenuanti, non c’è nulla che possa giustificare tanta violenza gratuita”.

LA SENTENZA DI PRIMO GRADO – Il 14 novembre del 2019, dopo dieci anni di indagini e otto processi, per la prima volta una sentenza ha stabilito che Stefano Cucchi morì vittima di omicidio preterintenzionale. I giudici della prima Corte d’Assise di Roma hanno condannato quattro dei cinque carabinieri imputati nel procedimento sulla morte del giovane: 12 anni di carcere a Di Bernardo e D’Alessandro che lo pestarono la notte dell’arresto nella caserma della compagnia Casilina, tre anni e otto mesi al maresciallo Mandolini, e due anni e sei mesi per falso a Tedesco.

 

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