Il pestaggio subito da Stefano Cucchi la notte dell’arresto è “la causa prima della patogenesi che si è rapidamente conclusa con la morte” ed è “indiscutibile” che il giovane la sera in cui fu fermato, “fino all’esecuzione della perquisizione domiciliare, versasse in condizioni fisiche assolutamente normali” senza “alcun segno di lesioni”. È quanto si legge nelle motivazioni della Corte d’Assise di Roma che il 14 novembre scorso ha condannato quattro carabinieri.

Non esiste “nessuna possibilità di dubbio”, sostengono i giudici, sul fatto che Stefano abbia subito “un evento traumatico in prossimità del suo arresto e, più precisamente, nel corso del suo passaggio presso la caserma Casilina per il fotosegnalamento”. Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, condannati a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale, aggredendolo con tanta violenza hanno avuto una condotta “assolutamente ingiustificabile”:

Cucchi è morto, per “una concatenazione polifattoriale”, la cui causa “essenziale, se non unica”, è “il riflesso vagale connesso alla vescica neurogenica originata dalla lesione in S4”. È stata dunque la lesione alla vertebra provocata dal calcio di uno dei due militari a provocare, sei giorni dopo, un decesso che, sostengono i giudici, non può esser stata in alcun modo una conseguenza dell’epilessia di cui aveva sofferto.

Di Bernardo e D’Alessandro, sono ritenuti i responsabili del pestaggio, mentre la Corte ha anche inflitto tre anni e otto mesi al maresciallo Roberto Mandolini, l’ufficiale condannato per falso che avrebbe coperto quanto accaduto, e due anni e sei mesi per falso a Francesco Tedesco, il militare che nel corso del procedimento ha accusato Di Bernardo e D’Alessandro ed è stato assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale.

Altri otto carabinieri sono a processo perché accusati, a vario titolo, di reati che vanno dal falso, all’omessa denuncia, la calunnia e il favoreggiamento: si tratta del generale Alessandro Casarsa, che nel 2009 era alla guida del gruppo Roma, il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi venne portato dopo il pestaggio, Francesco Di Sano, che a Tor Sapienza era in servizio quando arrivò il geometra, Francesco Cavallo all’epoca dei fatti capo ufficio del comando del Gruppo carabinieri Roma, il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro, Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, e il carabiniere Luca De Ciani.

ILARIA: “GRAZIE A CHI LOTTATO CON ME” – “Leggo le 130 pagine delle motivazioni della sentenza per la morte di Stefano e ogni tanto devo smuovermi per capire che non sto sognando. Anni ed anni trascorsi nelle aule di tribunale a sentir dire da dei gran professoroni che mio fratello era morto di suo o comunque di qualcosa di bizzarro. Anni ed anni a combattere contro l’ipocrisia e l’arroganza del potere. Non ero sola per fortuna, perché da sola non avrei potuto fare nulla. Ma proprio nulla”. Lo scrive su Facebook Ilaria Cucchi. “In tutti questi anni ho visto delle persone lottare per un’idea. Ed il mio ringraziamento ogg va a loro. Quelle persone sono Fabio, il mio avvocato, ed i miei consulenti medico legali. Avevano ragione loro. Su tutto! E sarò loro per sempre grata per non essersi arresi”, aggiunge.

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