Siamo un po’ tutti americani. Dovremmo dire statunitensi, ma per noi l’America e gli Stati Uniti finiscono per coincidere. Abbiamo tante particelle dell’America dentro di noi. Quante volte al cinema, le serie tv, ci rimandano immagini di luoghi che ormai conosciamo come se ci fossimo nati o vissuti? Quanta musica prodotta da questo straordinario paese, dal jazz, al blues, al country al rock, al pop, ci è entrata dentro? In quanti eroi o personaggi ci identifichiamo? E lo sport?

È come se gli Stati Uniti fossero un mondo del quale vorremmo essere parte, dal quale non vogliano sentirci esclusi. Perfino chi odia gli Stati Uniti, in realtà ne è profondamente attratto. Odi et amo, direbbe Catullo. Un universo parallelo della nostra vita. Esiste la nostra identità, e un pezzo di identità che ci deriva dall’ammirazione o dall’odio per questo paese che è un grande microcosmo. Quando si vota negli Stati Uniti, noi ne parliamo come se dovessimo votare pure noi. Partecipiamo emotivamente, facciamo il tifo. Dunque tra qualche giorno parteciperemo alla grande emozione del voto americano.

Trump contro Harris

Trump è un tycoon americano tipico, grande e grosso, rossiccio, sbruffone. Un americano che interpreta il sogno americano della ricchezza, della potenza dell’esibizione muscolare del fatto che in America tutto è possibile. Kamala Harris è il suo contrario: figlia di immigrati, madre indiana e padre giamaicano, ha studiato legge alla Howard University, storica università per gli afroamericani, poi a Berkeley. È stata prima donna procuratrice distrettuale della Contea di San Francisco, prima donna Procuratrice generale della California, prima donna vicepresidente degli Stati Uniti. Potrebbe essere la prima donna presidente, facendo della diversità e della multiculturalità pilastro portante di questa fase della storia americana.

In realtà entrambi sono portatori della cultura americana, sia pure con idee opposte. Trump vuole in qualche modo proteggere le frontiere, chiudere il recinto, parlare alla pancia e al cuore dell’americano del popolo o al più della classe media, delle aree più povere e più lontane dal potere. Il suo tema è la paura. La paura di perdere quel poco che si ha, di perdere lo status a vantaggio di chi arriva, di perdere lavoro e soldi e perfino la vita. Kamala Harris parla all’America colta e al resto del mondo, rivendicando il ruolo di guida, la leadership mondiale di un paese che non appartiene solo a chi vive in quel grande recinto.

Trump e la matematica elementare

Trump usa la matematica elementare delle operazioni aritmetiche. I numeri si sommano e si sottraggono, si dividono e si moltiplicano. Inutile inseguire discussioni speculative e teoriche. La matematica serve per far di conto e per mettere le cose in chiaro, comprensibili a tutti. L’America è degli americani. Basta guerre, basta immigrati, basta missioni per proteggere la democrazia nel mondo, Pensiamo a noi stessi e ai nostri numeri, sembra voler dire Donald Trump. E anche se ha tra i maggiori sostenitori l’imprenditore più immaginifico possibile, Elon Musk, bada al sodo. È l’America che lascia le grandi cose ai grandi uomini, e che dice alle persone semplici: vi proteggeremo noi dalle insidie del mondo globale.

Kamala e la matematica dell’infinito

Kamala Harris usa la matematica dell’infinito. L’infinito è l’America. Un paese per sua natura senza frontiere, totalmente aperto, fatto da ogni razza possibile e immaginabile: irlandesi, africani, tedeschi, olandesi, italiani, portoricani, arabi, ebrei. Come mettere un confine o un limite? Impossibile. Immagino due bambini americani discutere su chi ha ragione e probabilmente direbbero:
– Ho ragione io
– Io ho più ragione
– Io ho ragione cento volte
– Io mille
– Io un milione
– Io un miliardo
– Io all’infinito
– Io all’infinto al quadrato

Il fatto è che non c’è un infinito più grande dell’infinito, e oggi questo paese che rappresenta nel nostro immaginario l’infinito, si interroga se non sia il caso di smettere di pensarsi tale, se non sia il caso di fermarsi, se non sia meglio avere paura e, dunque, ridimensionarsi. Proprio mentre l’umanità si prepara ad affrontare sfide inimmaginabili. Potremo perforare la barriera del tempo e dello spazio, raggiungere pianeti lontani? Potrà succedere che l’umanità, come sostiene il premio Nobel per la fisica Geoffrey Hinton, possa non essere più la specie più intelligente sul pianeta?
La sfida tra Trump e Harris è anche per questo così incerta. È lecito aver paura, così come è necessario avere coraggio. Cosa e chi prevarrà? Io spero Harris, ma in ogni caso l’America non finirà di essere la materializzazione terrena dell’infinito e, per questo, di essere un simbolo.