I giochi a Bruxelles sono tutt’altro che chiusi: per Francesco Tufarelli, già capo di gabinetto del ministro per gli Affari europei e presidente del Centro Studi La Parabola, il sostegno dei conservatori al bis di von der Leyen «non è certo». Quel che invece è sicuro è l’obiettivo di Ursula: uscire «forte» ed evitare di essere affossata da altri candidati. Per questo si sta lavorando all’intesa con Giorgia Meloni, tentandola con un commissario di peso per strappare il sì di Ecr. E la spaccatura del gruppo, avverte Tufarelli, non è da escludere. Ma alla fine i nodi andranno sbrogliati: i veti incrociati verranno tolti dal tavolo e «tutto andrà livellato».

Circola con insistenza la voce di un portafoglio importante garantito a Meloni nella prossima Commissione europea. L’ok dei conservatori a von der Leyen è da considerarsi ormai certo?
«È possibile e ci stanno sicuramente lavorando, ma non è certo. Il portafoglio importante dipende da una serie di fattori, come l’oggettivo peso del paese e del presidente del Consiglio europeo. Indipendentemente dalla collocazione l’Italia si gioca un portafoglio importante. Ciò che conta è anche l’individuazione della persona».

Il principale indiziato come commissario italiano sembra essere Raffaele Fitto. Se il ministro dovesse fare le valigie per Bruxelles ci sarebbe da aspettarsi un rimpasto di governo o una semplice redistribuzione delle deleghe?
«Fitto ha il phisique du role e una storia europea importante. Ha tutte le caratteristiche per ricoprire l’incarico, ha una riconoscibilità importante, ha dei buoni rapporti con il gruppo di von der Leyen. Il suo profilo è perfetto. Lui ha una delega molto importante, non sono sicuro che un nuovo ministro prenderebbe tutte e tre le deleghe: Pnrr, coesione e affari europei sono molto rilevanti. Potrebbero essere prese da qualcuno con un sottosegretario».

Perché Ursula cerca il sì di Meloni? Teme incidenti di percorso nella legislatura?
«Bisogna partire dalla storia di von der Leyen. Nel 2019 subentra allo spitzenkandidaten, che non era lei ma Weber. Esce Papa con qualche nemico nella sua coalizione. Ora lei vuole evitare di uscire azzoppata da altri candidati (anche se difficile, è tecnicamente possibile) e allo stesso tempo iniziare il suo mandato con una maggioranza più forte. Sarà un mandato diverso da quello precedente, ha un’agenda complessa e quindi sarebbe importante partire con una base parlamentare più ampia. Lei punta a uscire forte come i suoi commissari, deve stare attenta a se stessa e al bilanciamento della squadra».

Ma i socialdemocratici si sono già affrettati a dire che eventuali incarichi a Ecr superano la linea rossa. Anche Renew sembra puntare i piedi. Si rischia l’impasse?
«Ogni negoziatore recita la sua poesia, il suo miglior quadro possibile. La somma delle poesie crea una situazione non credibile ma dà la possibilità di dare la partenza. Andando avanti tutto andrà livellato».

I conservatori sono diventati il terzo gruppo al Parlamento europeo. Con l’ok a von der Leyen si rischierebbe una spaccatura?
«Il rischio non è da escludere, anche se le dinamiche europee non sono dinamiche nazionali. A volte si trovano anche delle compensazioni. Ci sono delle grandi manovre, stanno pescando dal gruppo dei non iscritti. Dobbiamo aspettarci qualche veto incrociato. Alcuni paesi dell’Est hanno dei piccoli partiti che potrebbero aderire ai conservatori, ma potrebbero procurare delle perdite corrispondenti: alcuni hanno problemi con Orbàn e potrebbero decretare l’indisponibilità nei suoi confronti. Bisogna vedere quale sarà il saldo finale».

Meloni comunque è pronta a metterci la faccia, consapevole che potrebbe pagare un prezzo alto in termini di consenso. Come potrebbe giustificare agli elettori la posizione di Fratelli d’Italia per non farla passare come un’intesa di palazzo sulle poltrone?
«Con la concessione di un ruolo particolarmente importante e rilevante al suo commissario. Nel momento in cui dovessimo avere la vicepresidenza della Commissione ed essere fortemente rappresentati in Parlamento allora lei potrebbe dire che le ragioni di Stato e del paese l’hanno motivata ad accettare un compromesso. Queste sono le dinamiche europee».