Trincee, città trasformate in cumuli di macerie, bombe che piovono ogni giorno sul paese mietendo vittime, distruggendo infrastrutture con l’unico scopo di fiaccare il morale di un’Ucraina che da due anni e mezzo fronteggia l’invasione russa. Volodymyr Zelensky lo sa. È consapevole che la popolazione non può resistere a lungo. La guerra alle infrastrutture energetiche scatenata da Vladimir Putin mette in serio pericolo gli abitanti in vista dell’autunno e soprattutto dell’inverno. E l’avanzata delle forze di Mosca a Est – per quanto rallentata negli ultimi giorni – non è destinata a placarsi almeno fino all’arrivo a Pokrovsk, snodo cruciale di questa fase della campagna militare. E ieri la Difesa di Mosca ha annunciato la conquista di un altro villaggio: Memrik.

L’operazione Kursk non basta

L’operazione nel Kursk ha di certo dato una scossa importante. Sia alla narrativa di Putin, che è costretto a osservare l’invasione del proprio territorio, migliaia di connazionali sfollati, soldati catturati e interi centri abitati in mano alle forze ucraine. Sia (teoricamente) al morale della popolazione e delle truppe che, dopo mesi di resistenza, hanno visto una prima operazione offensiva su larga scala. Il problema però è che l’incursione nell’oblast russo, se ha ottenuto diversi risultati tattici, non ha raggiunto quello che per molti era uno degli obiettivi prioritari: alleggerire la pressione russa sul Donbass. Un problema per Kiev, che si vede soprattutto sul fronte di Pokrovsk, dove l’assedio è sempre più prossimo.

Fuga dal fronte: 19mila procedimenti per diserzione

Secondo quanto riportato dalla Cnn, che ha sentito alcuni comandanti ucraini che hanno servito nella regione, il morale delle truppe in prima linea inizia a risentirne. “Le diserzioni e le insubordinazioni stanno diventando un problema diffuso, specie tra le nuove leve – hanno detto le fonti – Non tutti i soldati mobilitati lasciano le loro posizioni, ma la maggioranza lo fa. Quando i nuovi soldati arrivano, vedono quando sia difficile la situazione. Si trovano alle prese con i numerosi droni, pezzi d’artiglieria e mortai nemici”. Una condizione drammatica, che coinvolge in particolare le nuove reclute. Una differenza sostanziale rispetto ai volontari dei primi mesi di guerra e alle truppe di carriera e che preoccupa soprattutto per un numero: quello dei 19mila procedimenti per diserzione e abbandono delle posizioni soltanto nel 2024. Ed è per questo che Zelensky sta facendo di tutto per ridare linfa vitale alle sue truppe, frustrate e in attesa che aumentino gli aiuti promessi dagli alleati.

Dalla base di Ramstein a Cernobbio, il presidente ucraino ha ribadito la necessità di armi, di sistemi per la difesa aerea, di caccia e soprattutto di cambiamenti nella politica occidentale sulle armi inviate a Kiev. Vuole che alle sue forze sia data la possibilità di attaccare in profondità il nemico, in modo da fare arrivare la guerra anche in Russia e colpire le basi avversarie come fatto nel Kursk. Gli Stati Uniti hanno già fatto capire di non essere d’accordo con il governo ucraino. Ma i missili arrivati dall’Iran alla Federazione russa (consegne che Teheran nega, ma ritenute “credibili” anche dall’Unione europea) confermano che il Cremlino ha più assi nella manica.

Tra pace, resa e sostegno a Kiev

L’Ucraina, per frenare il sangue che scorre in molte città del paese sotto le bombe russe, ha chiesto missili per la contraerea a tutti gli alleati. Ma il tempo non è dalla parte di Kiev. E comincia a essere evidente che all’interno della Nato si cerca di capire quale sia per il percorso per arrivare il più presto possibile a una pace. Scenario che però il governo ucraino vuole valutare attentamente, prima che si riveli di fatto una resa. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che è giusto appoggiare il piano di pace di Zelensky, ma che allo stesso tempo è anche giunto il momento di coinvolgere Mosca in una conferenza di pace. L’opposizione della Cdu è insorta, ma le crepe interne sul sostegno militare all’Ucraina si sono manifestate in modo eclatante nelle ultime tornate elettorale. Specialmente con l’ascesa di Alternative für Deutschland e del movimento di Sahra Wagenknecht. Il Cremlino si è mostrato cauto, senza chiudere del tutto la porta a questa ipotesi di negoziato (pur dicendo che ora non ci sono le basi per colloqui di pace). Ma mentre Zelensky chiede armi e libertà di utilizzarle, l’Occidente vuole capire fino a che punto riuscirà a spingersi nel sostegno a Kiev. “Finché sarà necessario”, ripetono i leader europei e Usa. Ma al fronte la situazione si fa sempre più complessa.