Una decisione storica, quella che avrebbe preso il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Riconoscere il genocidio degli armeni. Furono circa un milione e mezzo le vittime dell’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916. Una strage commemorata ogni anno il 24 aprile e da sempre fonte di grande imbarazzo e tensioni, soprattutto per la Turchia. Che quel massacro lo ha sempre negato e che adesso è furiosa, e con lei il Presidente Recep Tayyip Erdogan. A oggi sono una trentina i Paesi che in tutto il mondo hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio. Scatenando sempre grandi polemiche e ritorsioni da parte di Ankara.

A dare la notizia il New York Times. L’annuncio è previsto per il 106esimo anniversario del massacro di massa. Biden sarò il primo Presidente USA a riconoscere lo sterminio. Tra Washington e Ankara si prevedono tensioni vista anche la loro influenza all’interno dello scacchiere Nato. La Turchia, fondamentale come avamposto eurasiatico dell’Organizzazione, ha minacciato di chiudere la base militare di Incirlik, dove sono ospitate testate nucleari americane. La posizione del Paese è quella di considerare il genocidio all’interno degli scontri della Prima Guerra Mondiale.

Il riconoscimento americano è comunque il risultato di anni di sforzi della diaspora armena negli Stati Uniti. A fine ottobre il Congresso americano, controllato dai democratici, ha approvato a larghissima maggioranza una mozione che ha riconosciuto il primo genocidio del ventesimo secolo. Poche settimane dopo, a metà Novembre, il turno del Senato americano, ancora a maggioranza repubblicana, a votare all’unanimità il riconoscimento del genocidio. Una scelta bipartisan dunque.

A confermare il largo consenso che ormai il tema gode presso la politica e l’opinione pubblica anche un editoriale da Samantha Powell, diplomatica che aveva servito anche nella seconda amministrazione del Presidente Barack Obama e membro del Partito Democratico, sul The New York Times. Nel articolo si faceva riferimento al riconoscimento come a un atto dovuto e anche alla fine delle pressioni della Turchia la cui “pressione autocratica” aveva spinto gli Stati Uniti al silenzio “per troppo tempo”. Pochi giorni dopo Ankara convocò l’ambasciatore degli Stati Uniti.

Dall’elezione di Biden molto è cambiato nell’atteggiamento nella politica estera a stelle e strisce. Il Presidente ha confermato il ritiro entro l’11 settembre delle truppe dall’Afghanistan ma ha anche riaperto il dossier sul nucleare iraniano e gli accordi di Abramo. Segnali per contenere l’influenza di Ankara sia in Siria che in Libia, dove la Turchia da battitore libero gioca un ruolo di leader regionale in un Medioriente allargato. Solo poche settimane fa, dopo il caso del Sofagate – della sedia mancante per la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen in un vertice in Turchia – il Presidente del Consiglio Mario Draghi aveva definito Erdogan “un dittatore”. Parole che avevano scatenato tensioni tra Roma e Ankara.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.