Il “dittatore” non porge l’altra guancia. Ma, come è suo solito, contrattacca. Con parole di guerra. Guerra diplomatica, economica, commerciale (salta la vendita di elicotteri Leonardo per la scuola di volo militare. Pesanti avvertimenti ad altre tre aziende, tra cui Ansaldo Energia), geopolitica. Guerra all’Italia e al primo ministro “nominato”. Guerra che ha già il suo fronte avanzato: la Libia. I timori della nostra diplomazia si sono avverati.

Dopo una settimana di silenzio, durante la quale a scagliarsi contro le parole del presidente del Consiglio Mario Draghi sono stati solo alcuni membri del governo turco, anche il presidente Recep Tayyip Erdoğan commenta l’uscita del premier italiano che lo aveva definito “un dittatore con il quale si deve cooperare”: «La dichiarazione del presidente del Consiglio italiano è stata una totale indecenza, una totale maleducazione», sentenzia il “Sultano” in un discorso a un gruppo di giovani nella biblioteca del suo palazzo presidenziale di Ankara. Ripetendo le dichiarazioni rilasciate dai suoi collaboratori al governo, Erdoğan ha voluto ricordare al premier italiano che «prima di dire una cosa del genere a Tayyip Erdogan devi conoscere la tua storia, ma abbiamo visto che non la conosci. Sei una persona che è stata nominata, non eletta». Il presidente turco ha poi aggiunto che «Draghi ha purtroppo danneggiato» lo sviluppo delle «relazioni Turchia-Italia».

La reazione, seppur a distanza di giorni, del presidente della Turchia dimostra che è ancora alta la tensione diplomatica con l’Italia. Clima che rischia di ripercuotersi sia sul fronte migratorio – con Ankara che già nei mesi scorsi era tornata a minacciare l’Europa, forte dei 4 milioni di rifugiati siriani ospitati nel Paese dopo l’accordo del 2016, tanto da richiedere la presenza di Ursula von der Leyen e Charles Michel nella capitale turca che ha poi scatenato il cosiddetto “sofagate” – che in Libia, dove sia l’Italia che la Turchia aspirano a ricoprire un ruolo di primo piano dopo la formazione, un mese fa, del nuovo governo di unità nazionale presieduto da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh.

Non è un caso che il primo viaggio internazionale del presidente del Consiglio Draghi sia stato proprio a Tripoli, dove Roma punta a riguadagnare terreno dopo essere stata scavalcata dal Paese della Mezzaluna che ha inviato i propri militari a sostegno dell’allora Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj per contrastare l’avanzata delle milizie del generale Khalifa Haftar intenzionate a conquistare la capitale. E pochi giorni dopo, il 12 aprile, è stato invece lo stesso Dbeibeh a volare ad Ankara con 14 dei suoi ministri per incontrare l’amico e stretto alleato Erdoğan: sul tavolo non solo la cooperazione militare, ma anche e soprattutto il rinnovo del Memorandum del 2019 sullo sfruttamento delle risorse nel Mediterraneo orientale e il ripristino della partnership economica e commerciale Turchia-Libia, in vista dell’avvio di un nuovo processo di pace e ricostruzione del Paese nordafricano.

«Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio» aveva detto il premier italiano. Affermazioni che avevano scatenato l’immediata, furibonda, reazione di Ankara. La sera stessa l’’ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani, era stato convocato dal viceministro degli Esteri con delega agli Affari Ue, Faruk Kaymakci, che gli aveva espresso la “forte condanna” della Turchia per le “brutte e sfacciate affermazioni” di Draghi chiedendo il loro immediato ritiro. E il capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu, aveva parlato di «dichiarazione populista e inaccettabile nei confronti del nostro presidente della Repubblica, che è stato scelto attraverso elezioni».

«Se si vuole avere rapporti con qualcuno di cui peraltro si afferma di avere bisogno, è meglio non insultarlo prima – dice a Il Riformista il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali), uno dei più autorevoli analisti di geopolitica -. Che in Turchia alcuni principi della democrazia non siano rispettati è un dato di fatto. Ma se dovessimo dire ciò che pensiamo della maggior parte di coloro che governano nel mondo, temo che ci rimarrebbero pochi amici».

Avatar photo

Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.