Non solo gli effetti economici, le 124mila vittime ufficiali: il Coronavirus ha avuto effetti nefasti nell’ultimo anno e mezzo anche sulle donne. Nel 2020, primo anno di convivenza con la pandemia, le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%).

Il dato emerge dal rapporto Istat sulle richieste di aiuto durante la pandemia. Il boom di chiamate, precisa il report, si è avuto a partire da fine marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica.

Nel 2020, questo picco, sempre presente negli anni, è stato decisamente più importante dato che, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).

Il report Istat sottolinea come il servizio 1522 abbia svolto nel corso del 2020 un ruolo centrale nel supporto alle vittime di violenza, in particolar modo nei periodi caratterizzati dal lockdown incremento delle chiamate, rispetto all’anno precedente, è avvenuto in coincidenza dei mesi che vanno da fine marzo a maggio e negli ultimi mesi del 2020, i due periodi di lockdown ‘intenso’. Considerando le donne vittime di violenza che si sono rivolte al numero di pubblica utilità, l’aumento delle chiamate di questa specifica utenza è stato del 79,5%, passando da 8.427 chiamate del 2019 a 15.128 del 2020. Il canale di contatto preferito rimane il telefono, ma sono cresciuti anche i messaggi di richiesta di aiuto arrivati alla chat dedicata: tra il 2019 e il 2020 questa modalità passa da 683 messaggi a 2.361, con un incremento del 71%. Sono direttamente le donne a rivolgersi a questo servizio di pubblica utilità, ma non sono rari i casi di parenti, amici, conoscenti o anche operatori dei diversi servizi sul territorio a segnalare episodi di violenza. Anche in questo caso il numero delle segnalazioni cresce più dell’80%, passando da un totale di 745 chiamate a 1.348.

Le richieste di aiuto arrivano principalmente nei primi giorni della settimana per decrescere dal giovedì in poi e, come fascia oraria, si intensificano dalle 9 alle 17. Questo andamento non cambia negli anni ed evidenzia la ricerca del contatto lontano dal controllo e dalla presenza di altri familiari in casa. La casa si conferma il luogo principale della violenza (dal 2013 al 2020 il 75% delle vittime indica le mura domestiche come il luogo dove si consuma l’atto violento). Anche il tipo di violenza per cui si chiede supporto non sembra modificarsi negli anni. In 7.250 casi la violenza è di tipo fisico. A essa si accompagna prioritariamente la violenza psicologica, quella economica e le minacce.

La violenza segnalata quando si chiama il 1522 è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019). Riguardo agli autori, aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020).

Nei primi 5 mesi del 2020 sono state inoltre 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza (CAV): per l’8,6% la violenza ha avuto origine da situazioni legate alla pandemia, ad esempio la convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna. Dopo il calo di utenze, in corrispondenza del lockdown di marzo 2020, i Centri hanno trovato nuove strategie di accoglienza (il 78,3%): solo sei CAV hanno dovuto interrompere l’erogazione dei servizi. Essenziale, sottolinea Istat, è stato il ruolo della rete territoriale antiviolenza per supportare i Centri nel loro lavoro. Nella maggioranza dei casi (95,4%) i Cav hanno supportato le donne tramite colloqui telefonici, nel 66,5% dei casi hanno utilizzato la posta elettronica mentre nel 67,3% i colloqui sono stati in presenza nel rispetto delle misure di distanziamento.

Per quanto riguarda le Case rifugio, nei primi 5 mesi del 2020 sono state ospitate 649 donne, l’11,6% in meno rispetto ai primi 5 mesi del 2019. Le Case hanno, infatti, segnalato più difficoltà dei Cav a organizzare l’ospitalità delle donne e a trovare nuove strategie (55,3% dei casi). Per il 6% delle donne accolte, le operatrici hanno segnalato che è stata la pandemia ad avere rappresentato la criticità da cui ha avuto origine la violenza.

 

Redazione

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