Il 4 maggio 2020 sarà il giorno che, in quest’anno funesto, sarà ricordato come l’avvento della “fase due” nella gestione italiana della pandemia da Covid-19 ovvero l’inizio della finta normalità.

Una data già pronta a diventare simbolo ma che, come hanno notato in tanti tra gli analisti ma anche tra le persone comuni sui social, potrebbe rappresentare o essere stata scelta, di fatto, con il solo ausilio del calendario. Si tratta infatti del primo lunedì dopo la rincorsa di “ponti” festivi iniziata la con Pasqua che si concluderà proprio con la Festa del Lavoro.

Bel paradosso, a pensarci bene, riprendere giusto dopo il 1 Maggio, nell’anno in cui uno degli effetti collaterali più gravi dei decreti #iorestoacasa sarà proprio la pesantissima crisi economica/occupazionale nella quale è piombato il mondo intero ma di più, ovviamente, gli stati dalle economie non performanti, come purtroppo era il nostro ancor prima della grande epidemia.

L’altro effetto collaterale, quello meno grave, legato al trascorrere dei giorni, delle settimane e ormai degli ultimi due mesi, ha prodotto una cognizione del tempo ridotta a zero. In molti, infatti, non avendo scandito più le ore, né potuto santificare nemmeno le cosiddette “feste ricordatore” come vengono chiamate al centro sud del Paese, si sono mentalmente fermati a quei giorni di fine febbraio/inizio marzo nei quali la paura per tutti, dopo la psicosi di qualcuno, è stata istituzionalizzata e si è impossessata per decreto della totalità del Paese.

È un po’ come se il calendario stesso sia finito preda di una sorta di jet-lag che non sarà facile smaltire.

E proprio la paura sarà – cominciano ad accorgersene in tanti – l’ingrediente base della timida ripresa che ci attende che, tuttavia, con tutte le difficoltà che ci aspettano, dovrà essere in realtà convinta.

Quello che invece ancora in pochi pensano ma purtroppo si dovrà evitare per scongiurare, in tempi di forzato distanziamento, la vera e propria catastrofe sociale, sarà il rischio purtroppo concreto di una discriminazione generalizzata dell’altro, figlia proprio della fobia del contagio.

Le istituzioni politiche così severe e pragmatiche nel ricordare, durante gli ultimi due mesi, tutte le buone pratiche, dovranno ora farsi carico di un richiamo alla socialità, a quel “restiamo umani” che fino ad oggi veniva utilizzato come hashtag simbolo dell’accoglienza e della lotta alla discriminazione razziale.

Nei giorni d’avvio della nuova normalità ognuno dovrà essere pronto a riaccogliere, sia pure con le dovute distanze, la presenza nella propria vita del “prossimo” che non potrà continuare a fare eternamente paura in quanto potenziale “untore asintomatico”.

La giusta prevenzione del rischio contagio dovrà fare i conti con la matematica e con il buon senso.
Il rischio zero, infatti, decisamente da molto tempo prima del Covid-19, non è contemplato tra i movimenti connaturati all’esistenza umana.

La paura resta comprensibile ma da un lato non dovrà sfociare in irrazionali fobie e dovrà essere mediata da un senso di responsabilità decisamente aumentato rispetto a quello praticato in passato.

Dovremo, insomma, essere pronti a dare un nuovo benvenuto all’altro nella vita di ciascuno di noi che preveda una rinnovata gentilezza e un sorriso sotto la mascherina, che brilli di più nello sguardo, ingredienti complicati da condire senza abbracci e strette di mano ma decisivi per approdare al giorno – speriamo che non tardi troppo – nel quale il dispositivo di protezione più naturale tornerà ad essere lo starci vicino l’un l’altro.

Dal 4 maggio, insomma, una delle mission principali per ciascuno di noi sarà trasformare lo slogan forse più bello e meno retorico creato nel periodo del lockdown, quel #distantimauniti, in una vera e propria pratica quotidiana.

Fino ad ora, infatti, a metterci in guardia dal rischioso virus della discriminazione generalizzata che potrebbe aspettarci è stato solo Papa Francesco che ha individuato nella “creatività dell’amore” l’antidoto migliore.

Sarebbe bello, giusto e persino opportuno che come auspicio di fronte a questo nuovo inizio, tale messaggio arrivi anche dalle istituzioni dello Stato laico che ha, tra le sue giuste ambizioni, quello di essere proprio sociale. Anche, perché no, per farsi perdonare il volto duro e fin troppo accigliato mostrato fin troppo spesso di recente. Così poco rassomigliante all’Italia bella, socievole, sorridente, umano che ci piacerà tornare a raccontare e vivere, speriamo, davvero il prima possibile.