Di Giuseppe Chiappetta, vignaiolo in provincia di Cosenza, colpiscono prima di tutto gli occhi. Brillanti, appassionati e pieni di entusiasmo. Giuseppe è un ingegnere edile, specializzato in lavori privati e pubblici. Quando racconta della sua creatura, l’azienda Terre di Balbia, con sede nelle campagne di Altomonte, ad appena 45 minuti dal capoluogo Cosenza, il suo sguardo si accende. Ho avuto l’opportunità di conoscerlo in occasione degli appuntamenti della Fivi, la Federazione dei vignaioli indipendenti di cui fa parte anche la sua azienda. Un universo ricchissimo, quello dei vignaioli, dal quale emergono storie come questa.

Giuseppe si avvicina al mondo del vino poco più di una decina di anni fa. Comincia a studiare da sommelier. E pian piano nasce una passione competente per il vino. Fino alla domanda: “chissà se trovo un’azienda da rilevare?” Giuseppe ha qualche risparmio da investire e si mette alla ricerca. “In quel momento Terra di Balbia era di proprietà dei Venica, la famiglia friulana titolare della celebre cantina Venica&Venica. Silvio Caputo, importatore calabrese di vini in California, era il loro socio”, racconta Giuseppe. “Avevano comprato ad Altomonte, senza però costruire la cantina. E producevano il Serramonte, un blend di uve rosse: Gaglioppo, Magliocco e Sangiovese. Avevano anche vigneti di Montepulciano e di Merlot”, continua. Il tentativo di investire su un terreno di storica tradizione vitivinicola ma ultimamente un po’ dimenticato e marginale come la Calabria era stato importante. Una grande intuizione, ma la scintilla non scatta.

A Gianni Venica non piaceva il Magliocco”, spiega Giuseppe. Ma il Magliocco dolce è proprio l’uva a bacca rossa tipica di questa zona. Generalmente il grappolo è serrato, gli acini sono grandi e tondi, la buccia è spessa e ricoperta di pruina, il colore è blu violaceo tendente al nero a fine ciclo vegetativo. La maturazione è tardiva e l’epoca di vendemmia può spingersi a fine ottobre o anche ai primi di novembre. I vini hanno buon corpo, ma, a volte, specie in quota, la struttura è leggera. Al naso le note dominanti sono quelle dei piccoli frutti con note speziate e sentori di incenso sempre più evidenti con l’invecchiamento. Comune a tutti i biotipi è la ricchezza polifenolica sia nella componente antocianica (malvidina su tutte) sia in quella tannica la cui trama è sempre fitta e vivace, a volte scalpitante. Giuseppe Chiappetta è attirato dall’opportunità di riscoprire questo antico vitigno, così come il Gaglioppo che è alla base della denominazione di Cirò, affacciata sullo Ionio. A un certo punto, i Venica decidono di vendere l’azienda che, nel 2014 viene rilevata da Giuseppe. Collaborano all’impresa anche il fratello Nicola e i figli Marco e Luca.

Ma per Giuseppe non si tratta soltanto di avere un “giocattolo” tutto suo. La sfida dell’ingegnere è quella di produrre un vino di qualità e di mettere al centro dell’impresa i vitigni autoctoni calabresi, esaltandone al massimo le potenzialità. D’altra parte, nonostante la ricca storia risalente fino ai tempi della Magna Grecia e dell’antica Roma, nel secolo scorso l’Alta Calabria è rimasta nascosta in un cono d’ombra. Ma è una terra di grandi potenzialità. Interessante perché la viticoltura è in gran parte di alta collina o addirittura di montagna. E le vigne si dispongono su declivi e si avvantaggiano di escursioni termiche e ottima ventilazione.

Per realizzare il suo progetto, Giuseppe non bada a spese e cerca di coinvolgere collaboratori più che competenti. Primo tra tutti, Gianfranco Fino, appassionato vignaiolo del Salento, celebre in tutto il mondo per la produzione di Primitivo, forse il vitigno più famoso di Puglia. Il suo Es è considerato tra i vini più seduttivi e profondi che l’Italia sia in grado di offrire. “Fino si mette a disposizione: guida l’ammodernamento dei vigneti, suggerisce le tecniche colturali, segue la realizzazione della cantina, detta e controlla i processi e le tecniche di vinificazione”, racconta Giuseppe. E aggiunge: “con Gianfranco siamo molto meticolosi e condividiamo tutto: dalla filosofia alle attrezzature. Ogni mese gli mando i vini per monitorarli”. Insomma, tanto lavoro in vigna, con i costi conseguenti. “Il progetto sui 10 ettari dell’azienda (di cui 8 coperti da vigneto), è preciso: imbottigliare usando solo uve proprie, sposare l’agronomia biologica, ristrutturare una parte delle vigne per rilanciare gli autoctoni calabresi”: ecco il sogno di Giuseppe.

Per realizzarlo si rivolge anche a Worldwide vineyards, una società di fama mondiale, con sede in Francia, specializzata per le tecniche di innesto e sovrainnesto, che converte la parte del vigneto esistente non autoctono nella varietà Magliocco.

Ma non basta. Racconta Giuseppe: “Decido di coinvolgere anche Simonit&Sirch. La famosa scuola friulana cura la potatura dei vigneti e la formazione in campo dei dipendenti dell’azienda addetti alla potatura invernale e primaverile. Il loro sistema di potatura garantisce la longevità dei vigneti”. E così, le esperienze accumulate e diffuse nelle zone vitivinicole più celebri al mondo – Etna, Franciacorta, Valpolicella, Champagne, Borgogna, Alto Adige, Trentino, Bordeaux, Napa Valley – vengono applicate anche in Calabria, nella provincia di Cosenza.

A Terre di Balbia viene definitivamente abbandonato il sistema della capitozzatura, una tecnica di potatura degli alberi che consiste nel taglio indiscriminato dei rami o del fusto stesso: numerosi studi scientifici e l’esperienza sul campo confermano che questo sistema indebolisce le piante. Viceversa, con il metodo Simonit&Sirch, Chiappetta applica una potatura che preserva lo stato di salute della vite, allungandone il ciclo di vita e la produttività, fino ad almeno 50 anni. In particolare, spiega Giuseppe, “viene applicato il taglio laterale sulla corteccia e l’inserimento della gemma sulle piante più giovani, al di sotto dei 12 anni. Abbiamo anche realizzato degli impianti nuovi ad alberello con pali di castagno con una densità di 10 mila piante per ettaro”. Ispirata ai principi dell’agricoltura biologica (“attiva dal 2016, certificata dal 2019”, precisa), la produzione conta su 5 ettari di Magliocco, 2 di Gaglioppo (vigne con 50 anni di età dai quali deriva il rosato) e un ettaro di Merlot (vigne di 35 anni). I due rossi – uno da Magliocco, l’altro da Merlot – vanno in commercio dopo tre anni dalla vendemmia e una sosta nelle barrique di rovere francese di 2° passaggio. C’è anche il rosato a base di Gaglioppo, di bella struttura.

A Cirò i terreni sono fatti di argilla compatta e c’è un clima secco. Il nostro territorio è sito ai piedi del Monte Pollino ed è caratterizzato invece da un clima più piovoso. Un’altra importante differenza è che il nostro suolo è calcareo”, spiega Giuseppe. Che cerca di sposare il sostegno al suo territorio con la ricerca della qualità: “la mia azienda è iscritta alle Terre di Cosenza Dop, ma le nostre etichette escono come Igt Calabria perché cerchiamo di insistere sulla qualità. In ogni caso è molto importante sostenere il Consorzio”. La zona dove è incastonata Terre di Balbia è ancora tutta da scoprire. A Nord c’è il Monte Pollino, con il suo parco naturale e il suo elevato valore paesaggistico. Ma anche con numerosi prodotti gastronomici tipici: il biscotto a otto, uno scaldatello a base di farina Carosello, i fagioli bianchi come il tondino o il poverello bianco di Rotonda, coltivati soprattutto nella Valle del Mercure, la Lenticchia di Mormanno, la melanzana rossa di Rotonda, il miele del Pollino e i vari formaggi tipici tra cui il Paddaccio da latte di pecora e capra allo stato brado, la soppressata e i tartufi del Pollino, il pane di Cerchiara di Calabria. A pochi minuti da Terre di Balbia c’è poi il borgo di Altomonte che, insieme ad alcune attrazioni culturali, offre diverse delizie per il palato: i carciofini selvatici (frutti del cardo selvatico, raccolti in tarda primavera, scottati in acqua e aceto e conservati sott’olio), i ciafarani cruschi (peperoni seccati e fatti rinvenire nell’olio bollente), i rascachieddi (pasta a base di farina di semola ed acqua, condita con pomodoro e basilico, oppure con ‘nduia e pomodorini). Da segnalare anche la vicinanza alla Calabria di origini albanese, con il suo concentrato di eccezionalità linguistica, tradizioni culturali e specialità gastronomiche. In particolare, a Spezzano Albanese si trova il ristorante Tryphè (che in greco antico significa “godere della vita”), una vera oasi di perizia culinaria guidata dal giovane chef Francesco Genovese, che, dopo alcuni anni di formazione in giro per l’Italia, ha deciso di tornare in Calabria per investire suon territorio ricco di potenzialità. Proprio nel ristorante di Francesco si è svolto il colloquio con Giuseppe Chiappetta e abbiamo avuto occasione di condividere una bottiglia di Ligrezza, il rosato di Terre di Balbia: da uve Gaglioppo, rosa chiaretto con luminose sfumature aranciate, sa di melograno, ciliegia, liquirizia e scorza d’arancia, il sorso è strutturato, succoso e tannico con un bel finale aromatico. Da non perdere i due rossi della casa. Ad oggi il più riuscito è ancora Blandus, 100% Merlot, rosso rubino, naso di prugna e visciola con sfumature di vaniglia e tabacco, sorso caldo e strutturato con tannino levigato e buona acidità, finale dolce e persistente. Anche Fervore, l’altro rosso della casa a base di Magliocco dolce, offre una buona prova: rubino luminoso, profumi di ciliegia, prugna, melagrana, sottobosco e note speziate dolci e terrose, sorso sapido e morbido con finale amaricante. Tre piccole chicche, insomma, frutto della passione di Giuseppe Chiappetta, per una azienda che promette di crescere molto bene nei prossimi anni, ridando alla Calabria un posto d’onore nell’Italia del vino.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient