Alla prima impressione Andrea Abodi è un uomo pacato, verrebbe da dire con simpatia quasi “democristiano” nella capacità di scegliere con cura le parole da utilizzare. È per questo che in tanti sono rimasti stupiti dalle frasi da lui pronunciate lunedì scorso e dalle polemiche che sono seguite. I fatti sono noti: Jakub Jankto è un ventisettenne centrocampista ceco, dichiaratamente gay dopo aver fatto a febbraio coming out sul suo profilo Twitter. Lunedì, in una trasmissione radiofonica, a brucia- pelo al Ministro viene chiesto un commento sul suo probabile arrivo al Cagliari e la sua risposta esplode fragorosamente nelle ore che seguono: «Se devo essere sincero non amo, in generale, le ostentazioni, ma le scelte individuali vanno rispettate».

Ministro, se la aspettava questa polemica? Poteva forse stare più attento in quella intervista?
«Ho accostato due concetti che andavano tenuti radicalmente distinti: da un lato il rispetto che è sempre e comunque dovuto a tutte le persone, alle loro individualità ed anche alle scelte che fanno, dall’altra c’erano mie considerazioni personali sul tema delle ostentazioni. A mente fredda avrei potuto fermarmi prima o separare in maniera molto netta i due concetti. Certamente non ho mai pensato che un coming out sia una ostentazione».

Proviamo a distinguere come lei suggerisce. Da un lato c’è il suo giudizio, più o meno condivisibile, sui Gay Pride come manifestazioni di “ostentazione”: a me pare siano più parole di una persona che non conosce le cose più che quelle di un omofobo…
«Io non ho espresso un giudizio sul Pride, ma sulle ostentazioni che a volte traspaiono da quelle manifestazioni. Non è un giudizio morale, sommario, definitivo, tanto meno violento, né è una sentenza. È ciò che penso, ma sono anche pronto ad ascoltare chi non la pensa come me».

Bene. Detto questo, parlando del giocatore ceco, lei ritiene che sia un valore per il mondo del calcio o dello sport in generale se chi è gay fa coming out?
«Fare coming out è liberarsi di un peso, perché diversamente non si può vivere la propria dimensione con la naturalezza che è dovuta e che tutti noi dobbiamo garantire. Il mio mondo ideale è quello nel quale si possa vivere qualunque dimensione personale con totale naturalezza. Tornando alla sua domanda, il coming out è certamente un valore se è una opportunità che consenta di porre il tema in senso positivo, ovvero di far rientrare nella normalità il vivere la propria condizione. Se in sostanza serve a emanciparci tutti, certo che è un bene. Quindi, da un lato chi sente il bisogno di dirlo lo dica, dall’altro usiamo tutti l’ascolto reciproco».

Lei è finito nel classico tritacarne dei social: ne è rimasto ferito?
«Definirmi omofobo, siccome non ritengo di esserlo, lo ritengo una profonda offesa».

Lei ritiene che al mondo dello sport, in particolare ad alcune discipline, vicende come queste facciano bene?
«Noi dobbiamo alimentare una sensibilità sulla tematica del rispetto a 360 gradi, su tutto lo spettro delle discriminazioni. A quel punto non si pone il tema della singola categoria, ma quello del valore della persona. Noi dobbiamo sicuramente lavorare sul modo con cui stiamo insieme, ciascuno con la propria diversità, che sia religiosa, economica, sociale o di preferenze sessuali. Il concetto del rispetto va promosso e tutelato: è il tema dell’inclusività e della coesione, cioè dello stare tutti insieme ma anche dello stare bene insieme come collettività».

Questa vicenda ha inevitabilmente acceso un faro sulla sua attività da Ministro. Ci racconta come ha impostato il suo lavoro?
«Per quanto riguarda lo sport, il mio obiettivo è innanzitutto quello di allargare la diffusione della pratica sportiva specie tra i giovani e la consapevolezza di questa necessità, esattamente come dirà la Costituzione tra qualche settimana con i cambiamenti che sono al voto del Parlamento. Il tema in Italia è tutt’altro che scontato, perché è rimasto sempre offuscato dalla dimensione competitiva dello sport. Abbiamo problematiche specifiche da risolvere: penso all’estemporaneità dello sport a scuola o alle infrastrutture materiali, solo una scuola su due ad esempio ha una palestra. Questo porta al fatto che il 95% dei ragazzi italiani fa meno sport di quanto indica l’OMS come necessario e porta ad essere il quarto peggior Paese per sedentarietà in ambito OCSE. Festeggerò volentieri le vittorie sportive come Ministro dello Sport, ma festeggerò più volentieri se su questo programma di governo che ho descritto otterrò risultati».

PNRR nota dolente? Siamo in ritardo?
«Il PNRR sport riusciremo ad utilizzarlo tutto e bene, ma il problema vero è che è poco e mal congegnato. Solo lo 0,35% del PNRR è dedicato allo sport, quindi stiamo parlando di pochi soldi, di cui una minima parte per ristrutturare strutture esistenti. Mentre sul servizio civile universale per i giovani abbiamo importanti risorse destinate e quest’anno abbiamo raggiunto il record di partecipanti».

Una domanda a lei come Ministro dei Giovani, anche se la competenza specifica è del Ministro della Cultura. 18 app?
«Il nostro obiettivo è quello di rigenerare la carta giovani che volgiamo rendere uno strumento vivo ed utile, capace di offrire opportunità. 18 app e carta giovani appartengono alla stessa famiglia e su questo la voreremo con un approccio interdisciplinare coi miei colleghi».

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva