Pablo Chiuminatto, intellettuale e filosofo italo-cileno straordinariamente poliedrico, è morto improvvisamente a Santiago del Cile, stroncato da un infarto a 60 anni. La figura di Chiuminatto, le cui origini famigliari si perdono negli stessi paesini del Piemonte da cui proviene Papa Francesco, è per molti aspetti unica. Pittore di successo, letterato coltissimo, filosofo rigoroso, editore raffinato e perfino ingegnere. È stato al tempo stesso almeno cinque persone, incarnando sempre con raro talento carriere intellettuali diverse. Tutte interpretate con originalità e passione.

Innamorato del suo Cile ma anche dell’Italia, dove ha realizzato la sua tesi dottorale tra il 2007 e il 2009, parlava perfettamente, oltre all’italiano e allo spagnolo, altre quattro lingue. In Francia era noto per aver pubblicato uno studio sulle opere complete di Descartes. La Spagna gli deve la più importante pubblicazione sul Quijote di Cervantes mai uscita in America Latina. Aveva vinto innumerevoli concorsi universitari, tra cui quello come visiting professor della Columbia University: una mente fuori dal comune, con capacità di pensiero trasversale che gli era valsi onori e premi. E tanta fatica.

Il primo posto di lavoro, come ricercatore alla Pontificia Università Cattolica del Cile, se l’era sudato con un concorso che prevedeva un test basato su un problema reale. «L’università ha duecentomila iscritti e aule per contenerne 10mila. Il candidato indichi come fare, fermo restando che gli studenti vanno accolti tutti». Gli altri concorrenti si arresero. Chiuminatto vinse spiegando come la gradualità piega, come una curva quantistica, la fissità dei numeri. Spiegò la dimensione dell’afflusso, le turnazioni, il maltempo, il ritardo dei treni, l’uso massivo delle biblioteche e delle palestre e sottrasse il tasso di abbandono e i borsisti all’estero. Ottenne il posto e da lì in poi studiò centinaia di autori, tradusse decine di filosofi, diede vita a quella originalissima cattedra di Ingegneria del Pensiero che ne caratterizzò l’incedere, continuo, su tutte le piste della ricerca.

Stabilì un rapporto con la Lumsa, a Roma, e con l’Institut Catholique di Parigi. Chi scrive ha avuto modo di frequentarlo per anni nella dimensione accademica delle tre Capitali, italiana, francese e cilena. Gli chiesi subito quale fosse la sua collocazione politica: è insolita l’armonizzazione del razionalismo cartesiano negli atenei di ispirazione cattolica. «Gli intellettuali dicono tutti di essere liberi. Io vorrei dire che sono politicamente apolide. La libertà è una condizione e non uno status. Io sono considerato di sinistra da quelli di destra, e di destra da quelli di sinistra. La verità è che sarei nel mezzo, se nel mezzo ci fosse qualcosa».

Un riformista vero, un pensatore libero, senza far premio al vanto. Amante dell’arte in ogni sua forma, e avendo origini italiane, della tavola. «Sabor y saber», sapore e sapere, diceva sempre, vanno insieme. Ci scrisse su anche un libro. Uno dei tanti. E quanti altri ne avrebbe scritti, se non fosse volato chissà dove appena sessantenne. In una dimensione, forse, dove il tempo si piega, come nella sua quantistica. «Più che la falsità del vero, dobbiamo temere la falsità del falso», aveva scritto in una riflessione sui tempi che corrono. Meglio accettare la verità, dunque, anche quando è così dolorosa.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.