Del grande imprenditore italiano, soprannominato “il falco” dell’industria, proprietario della Ducati Energia, colosso internazionale, si è scritto tutto e si scriverà molto altro, perché la sua scomparsa è un colpo al cuore per chi lo conosceva e lo stimava, e quella di Guidalberto Guidi è una perdita dolorosa anche e soprattutto per il mondo industriale italiano.
Personalmente ho perso un amico speciale, un mio solido punto di riferimento, un uomo che mi è stato sempre vicino, con il quale ci confrontavamo e al quale volevo molto bene.

Ho conosciuto Guidalberto nei primi anni ‘90, me lo presentò la giornalista Cesara Buonamici, e da allora non ci siamo più persi di vista. La sua conversazione era colta e brillante, non priva di ironia, ma era la sua umanità ad essere bella: sempre pronto ad aiutare chi aveva bisogno, con l’animo generoso di chi era arrivato in cima senza dimenticare chi era rimasto indietro. Il suo sguardo imprenditoriale è stato sempre rivolto al futuro, quello del suo Paese, dove investiva ed innovava di continuo, sostenendo però che per restare competitivi bisognava produrre anche nelle altre “officine” del mondo: India, Cina, Europa dell’Est, mantenendo in Italia le idee e sostenendo i prodotti Made in Italy. Per la stima e il riconoscimento che si era guadagnato con duro lavoro, Guidi negli anni ha ricoperto molti incarichi, dalla vicepresidenza di Confindustria alla presidenza del Sole 24h, aveva amici politici bipartisan, da Berlusconi, a Prodi, Bersani o Renzi, con i quali si confrontava e si scontrava, senza mai perdere equilibrio e signorilità nei modi e tempi.

La sua unica figlia Federica, che adorava e che ha sempre seguito le sue orme in azienda, è stata ministro dello Sviluppo Economico nel governo Renzi dal 2014 al 2016, e sua moglie Alessandra, più riservata di lui e che non ha mai amato apparire, era la sua forza, la sua allegria e la sua energia, e gli è stata accanto fino alla fine. Con Guidalberto ci vedevamo sempre la sera a cena quando veniva a Roma (era amico di mio marito Angelo) o a Milano, ed io gli facevo trovare a tavola i suoi amici direttori di quotidiani, i giornalisti preferiti, gli editori, i politici e gli imprenditori: era una delizia ascoltare i suoi racconti ed i suoi punti di vista, talvolta feroci e spietati, ma quasi sempre condivisibili. Spesso lo raggiungevo al Baretto di Milano dove amava pranzare da solo quando aveva voglia del suo pasto preferito (sei ostriche e champagne), che si faceva servire in un bicchiere dell’acqua, seduto a un tavolino riservato e nascosto in un angolo, perché lo riteneva un cibo prelibato da non esibire e che consumava quasi con frugalità, come avrebbe fatto con pane e cicoria. La sua eleganza nel vestire era sempre impeccabile anche in abiti sportivi, era un uomo amabile che adorava la vita, viaggiare, conoscere ma soprattutto lavorare, creare, innovare e raggiungere tutti gli obiettivi che si prefissava. Nei quasi due anni di pandemia ci siamo visti poco, a causa del lockdown: lui nella sua casa di Montale sulle colline modenesi con la famiglia e il suo giovane nipote dai capelli rossi che considerava il suo magnifico erede (spesso lo portava in azienda con lui), ci sentivamo ogni settimana, perché temeva di prendere il Covid e di ammalarsi, e mi chiedeva dei dati epidemiologici e dei vaccini, oltre a consigli medici di qualunque tipo.

Quando finalmente ci siamo rivisti alla fine dell’epidemia, al Bolognese di Milano, a pranzo con il direttore Feltri, riabbracciandolo sono rimasta colpita, e mi sono soffermata a guardare Guidalberto con occhio clinico, perché ho visto il mio amico stanco e pallido, con il suo tono di voce non più vivo e squillante; in quella occasione gli ho consigliato di fare un check-up generale che aveva rimandato a causa del Covid, minimizzando i sintomi che pur aveva e che avrebbero dovuto allarmarlo. Purtroppo il mio sospetto diagnostico si è confermato vero, la diagnosi si è rivelata tardiva e la malattia ha fatto il suo percorso inesorabile, ma mai Guidalberto ha perso la speranza di sopravvivere, lui che amava vivere. Ha accettato di farsi curare ed ogni volta che lo chiamavo mi chiedeva: “Cosa pensi, mi resterà qualche anno ancora? Io lo spero proprio”.

Ed io, non gli ho mai tolto la speranza di continuare a vivere, anzi, ogni volta gli rafforzavo la convinzione di quello che chiedeva; lui mi credeva e voleva crederci, anche se il compito più duro e più ingrato è stato quello della figlia Federica e della moglie Alessandra che lo hanno sostenuto fin dall’inizio con il sorriso, ogni giorno e in ogni modo, mentre lo vedevano lentamente spegnersi. Guidalberto Guidi si è addormentato per sempre domenica scorsa nella sua casa di Modena, e la famiglia lo ha celebrato privatamente, dando la notizia della sua scomparsa a funerale avvenuto. Senza annunci, necrologi e clamori, con la riservatezza, la discrezione e la sobrietà che lui avrebbe voluto e che ha contraddistinto tutta la sua vita.
Ciao Guidalberto, un privilegio averti conosciuto, fai buon viaggio!

Melania Rizzoli

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