L’Hiv è ben lontano dall’essere sconfitto e l’aumento delle diagnosi tardive può indicare un abbassamento dell’attenzione sul tema: uno dei principali problemi lo si incontra in una narrazione ancora piena di falsi miti e stereotipi che compromettono la lotta alla malattia e favoriscono lo stigma. Coppie sierodiscordanti, U=U, PrEP, infatti, sono solo alcuni esempi di espressioni con cui la maggior parte della popolazione continua a non avere familiarità, ampliando il divario che separa le persone che vivono con Hiv da tutte le altre. Ma se le fondamenta della lotta all’Hiv stanno proprio nella consapevolezza e nell’informazione, come si può pensare di combattere il virus senza padroneggiare il linguaggio necessario a parlarne?

Con Anlaids abbiamo lanciato la campagna “Hiv: e tu cosa fai per sconfiggerlo?” in occasione della Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids del 1° dicembre. Tra i temi più caldi della campagna, c’è proprio il linguaggio. Anlaids è la prima associazione italiana nata per lottare contro l’Aids/Hiv e negli anni abbiamo visto lo scenario mutare drasticamente davanti ai nostri occhi, ma se oggi la positività all’Hiv non minaccia più la sopravvivenza e non compromette la qualità della vita come in passato, lo stigma e i preconcetti si dimostrano più resistenti del virus. Siamo sul finire del 2022, ma nel nostro paese in molti continuano ad avere paura di confidarsi con parenti, amici o colleghi, di sottoporsi al test per l’Hiv o alla profilassi pre-esposizione. Secondo la narrazione sbagliata ancora diffusa, infatti, l’infezione colpirebbe solo determinate categorie, persone ancora troppo spesso considerate “trasgressive” o “sbagliate”, come omosessuali, sex worker, assuntori di droghe, perpetuando un doppio stigma ingiustificato e pericoloso.

Ricordare che grazie alle terapie oggi l’Hiv si tiene facilmente sotto controllo e che le persone che vivono con Hiv e che hanno una carica virale non rilevabile (quasi tutte) non trasmettono il virus, purtroppo non basta. Miti e stereotipi vengono rafforzati dal linguaggio quotidiano, contribuiscono a dare forma al mondo in cui viviamo e alimentano la sierofobia. Per combattere un nemico, è fondamentale sapere come nominarlo: ecco quindi alcuni punti chiave da conoscere per un linguaggio Hiv-consapevole. “Sierofobia” è una parola importante per riconoscere lo stigma al suo manifestarsi: indica infatti i sentimenti di paura e avversione rivolti contro le persone che vivono con Hiv in quanto tali. Sentimenti irrazionali e infondati, che possono portare a isolamento ed emarginazione.

E per combattere lo stigma è importante fare chiarezza: Hiv e Aids non sono la stessa cosa. L’Hiv infatti non è una malattia, ma un virus che, se non trattato, può eventualmente, dopo una fase di “infezione primaria”, portare a una “sindrome di immunodeficienza”, o Aids. Le terapie che abbiamo a disposizione abbattono il rischio di arrivare a sviluppare Aids. Per questo è tanto importante sottoporsi regolarmente a test, evitando una diagnosi tardiva: quanto più precoce è il trattamento, tanto più sarà efficace. Non si può fare affidamento sui soli sintomi per le diagnosi, in quanto molte “sieroconversioni” – l’acquisizione dell’infezione – sono asintomatiche. Insomma, usare i termini Aids e Hiv come fossero intercambiabili crea confusione sul funzionamento di contagio e malattia e, di conseguenza, su cosa è necessario fare per proteggersi. E per quanto riguarda i test? Si parla di “periodo finestra” per indicare il tempo minimo che deve trascorrere dall’esposizione al rischio perché un test possa determinare la condizione sierologica di una persona. Questo periodo generalmente è di novanta giorni per un test di terza generazione e di quaranta per un test di quarta generazione.

“CD4”: sono linfociti che gestiscono la risposta immunitaria alle infezioni. L’obiettivo della terapia è mantenere elevato il numero dei CD4 e ridurre la carica virale a un livello di non rilevabilità nel sangue. “Undetectable equals untransmittable” (Non rilevabile equivale a non trasmissibile), spesso abbreviato in U=U, riassume il fatto che, quando il virus non è rilevabile nel sangue, allora non può essere trasmesso. Con “Treatment as prevention” (Tasp), invece, si sottolinea il valore della terapia come strumento di prevenzione, in quanto capace di bloccare il contagio. Parliamo ancora di prevenzione: la PrEP, profilassi pre-esposizione, è una terapia farmacologica specifica che può essere prescritta da un medico infettivologo e che previene la trasmissione del virus Hiv. Si è dimostrata molto efficace in caso di rapporti occasionali o per le coppie sierodiscordanti.

Con “coppie sierodiscordanti” si fa riferimento a quelle coppie in cui una persona è Hiv sieropositiva e l’altra sieronegativa all’Hiv.
Ancora oggi in molti usano termini come “il sieropositivo” o “il malato di Aids”, ma definire una persona attraverso la sua diagnosi è disumanizzante: molto meglio usare espressioni come “una persona che vive con Hiv” o “una persona Hiv positiva”. “Condanniamo i tentativi di etichettarci come ‘vittime’, termine che implica sconfitta, e solo occasionalmente ci consideriamo ‘pazienti’, un termine che implica passività, impotenza e dipendenza dalle cure degli altri. “Noi siamo Persone con Hiv/Aids”: così recitavano i Principi di Denver, scritti nel 1983 da attivisti nei primissimi anni dell’epidemia. Le parole sono veri e propri strumenti per dare forma al mondo: per sconfiggere lo stigma è importante usare invece un linguaggio centrato sulle persone che crei chiarezza laddove ancora ci sono confusione e paura.

*Presidente di Anlaids