"Europa sveglia, ora tocca a te"
Alessandro Politi: “L’Europa oggi è come il Piemonte di Cavour, deve prendersi dieci anni per approntare un esercito capace”

Trump e Putin, vertice europeo di Parigi e negoziato sull’Ucraina a Riad. Ne abbiamo parlato con Alessandro Politi, Direttore della NATO Defense College Foundation, l’unico centro di ricerca non governativo affiliato direttamente alla NATO.
Il terremoto Trump è una scossa per tutti, Europa in primis. E per il governo Meloni…
«Il vantaggio del governo italiano rispetto a qualsiasi altro governo del mondo è non solo di aver già conosciuto bene il Trump 1, ma anche quello di aver conosciuto bene, anzi di aver vissuto dall’interno, i governi Berlusconi. Cioè quello di un grande uomo d’affari che diventa statista. Naturalmente Berlusconi aveva un’altra mano perché era italiano».
Cosa vuole dire, come sono gli uomini d’affari che diventano statisti?
«La modalità Trump somiglia molto a quella della finanza automatizzata, quella che si chiama high frequency tranding, dove con i flash orders crei una nuvola di ordini fittizi per influenzare il mercato. E poi la cancelli, ma nel frattempo incassi sulla differenza. Crei un’aspettativa, poi l’aspettativa non si realizza ma tu intanto hai incassato».
È l’opzione sui futures…
«Sì, applicata alla politica. Le opzioni-lampo, i flash order, sono state vietate nelle operazioni finanziarie, ma in politica no. E se è vero che in politica le parole contano, è altresì vero che il disimpegno degli Stati Uniti in Europa è iniziato già da tempo, con George Walker Bush jr. Quando Rumsfeld liquidò il contributo britannico alla guerra in Iraq, si capì che stava certificando la morte della relazione speciale Usa-Uk. È una tendenza di lungo periodo che ora Trump rende in maniera più esplicita. Il governo americano sta correndo il rischio di venire interpretato come un alleato non affidabile».
Sarà un rischio calcolato?
«Lo vedremo. Però quando il segretario alla Difesa, Peter Hegseth dice: “Noi siamo nella Nato ma manteniamo la partnership della difesa Usa-Europa”, siamo davanti a una contraddizione. Se sei nella Nato sei un alleato, non un partner. Poiché queste parole sono state scelte, questo è il rischio che stanno correndo gli americani. Almeno per ora di essere male interpretati».
Questo atterra su un’Europa che ha ancora tempi di reazione lunghi.
«E non che Trump abbia questi tempi da folgore. La sua Maga nei suoi primi quattro anni non ha prodotto granché, stavolta vedremo. Quando ha voluto fare la pace con i talebani ci ha messo due anni, non ventiquattr’ore. Probabile che con i russi si intenda prima. L’Europa ha creduto, pur avendo contezza dell’arrivo di Trump, che i fondamentali della relazione Usa-Ue fossero saldi e salvaguardati. Soltanto che adesso quella relazione corre il rischio di essere fraintesa come una messa in discussione radicale».
Scusi ma oggi le relazioni Usa-Ue non sono già più le stesse.
«Bisogna vedere se alle dichiarazioni seguiranno i fatti. Peter Hegseth ha detto: “Non è detto che i soldati americani saranno in Europa per sempre”. Benissimo: nei prossimi mesi ci saranno manovre per spostarli nel Pacifico? Quello sarebbe un indicatore concreto».
Il Financial Times scrive che è già stato disposto lo spostamento di soldati americani dai paesi baltici, le risulta?
«Direi che queste sono ancora anticipazioni. Se le truppe cominciano a imbarcarsi e a lasciare sguarnite le basi è un fatto che non si può nascondere. È anche vero che si possono spostare le truppe dai paesi baltici alla Polonia. E questo mi pare che il Financial Times non lo dica. Capisco che i governi baltici siano preoccupati, ma può darsi che lo spostamento non abbia quella valenza politica che è possibile assegnargli».
Nona Mikhelidze segnala che così si incita Putin a attaccare i paesi baltici. È uno scenario che viene proposto per la prima volta con drammatico realismo…
«Però questo scenario non tiene conto delle perdite russe e della fragilità del consenso interno russo. Questa guerra in Ucraina è costata moltissimo a Putin ed ha avuto almeno 200.000 renitenti alla leva. Un conto è avere un accordo con Trump, un altro è che la comunità internazionale riconosca le sue conquiste de jure, cosa che dubito, e altro ancora è che Putin, con uno schiocco di dita, sia pronto a ricominciare. Tutti quelli che dicono ‘imminente un attacco nei prossimi cinque anni’ non hanno mai portato un argomento concreto a favore di questa tesi. Non dico documenti classificati, ma neanche argomenti. E poi i leader politici che sospettano un attacco russo all’Europa nei prossimi cinque anni devono essere pronti a introdurre da subito una leva militare generale di due anni. I baltici lo hanno fatto, ma sono quattro gatti. E i polacchi? E gli altri? Perché non basta comprare le armi, servono militari formati e attrezzati. Ce lo mostrano gli ucraini».
Il consenso interno a Putin sarà basso, ma le telefonate con Trump lo rafforzano.
«Da quando esisteva la Guerra Fredda, tutti gli accordi importanti sono stati negoziati negli incontri bilaterali tra Usa ed Unione sovietica. Gli euromissili sono stati negoziati direttamente, per esempio. Era prevedibile che la Casa Bianca fosse andata a trattare come è successo a Riad, senza gli ucraini. Non dico che sia una cosa buona, dico che si sapeva che sarebbe andata così. Il rafforzamento di Putin riguarda forse le sue cerchie di potere, perché in Russia tutti sanno come è collassata l’economia e la demografia russa e quanto solo la vittoria di Trump lo abbia salvato in corner. Putin deve ringraziare la buona sorte, se Trump ha vinto le elezioni».
Deve ringraziare la sorte o ci sono stati degli aiuti, diretti o indiretti, dal Cremlino?
«Può darsi. Non è emerso niente, al momento, ma si temevano manipolazioni russe. Un po’ mi sorprende Vance quando dice che le prove delle manipolazioni russe sulle elezioni rumene sono inconsistenti: “flimsy”, ha detto».
Vede possibili truppe a terra degli alleati in Ucraina?
«Non è una missione Nato e non lo può essere. Mi sembra molto prematuro parlare di invio delle truppe prima di avere i termini della pace, un mandato internazionale. Nessun paese europeo scaraventerebbe le sue truppe così in Ucraina».
Eventuali Forze Armate Europee sarebbero integrate nel modello Nato?
«L’Europa ha bisogno, come il Piemonte nel 1848, di un decennio di preparazione. Noi spendiamo più del doppio dei russi in economia di guerra e abbiamo un rendimento basso. Non possiamo avere dieci modelli diversi di carri armati. Non possiamo avere due aerei da combattimento di generazione avanzata: ne dobbiamo avere uno. Allora diventeremo più credibili. E prima di parlare con troppa facilità di esercito europeo, dobbiamo rafforzare la componente europea della Nato. È ovvio che ne può derivare poi l’esercito europeo. Se noi facciamo questo, sono convinto che qualunque presidente americano ci prenderà più sul serio».
E poi comunque le Forze Armate Europee sono implementative della Nato.
«Infatti. C’era stata, ai tempi di Madeleine Albright, un’avvertenza basata sulle tre D. No duplication, no discrimination, no decoupling. Ma mi sembra che oggi i tempi siano cambiati, con il disimpegno americano annunciato da Trump. E siano destinati a cambiare ancora».
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