Una serie di svastiche sulla lapide. Così ignoti hanno profanato la tomba di Alfredino Rampi, il bimbo di sei anni che morì cadendo in un pozzo a Vermicino il 13 giugno 1981, un evento che tenne incollati alla televisione milioni di italiani per giorni.

La notizia è stata diffusa dal TgR del Lazio. La lapide di Alfredino, imbrattata con undici svastiche naziste, è al cimitero del Verano di Roma.

Immediata le reazioni di condanna per un gesto senza alcun senso. “Voglio esprime la più ferma condanna alla vile profanazione della lapide di Alfredino Rampi. Una notizia che mai avremmo voluto leggere e che indigna profondamente. Mi auguro che al più presto i colpevoli vengano individuati dalle forze dell’ordine”, è il commento in una nota dell’assessore alla Sanià della Regione Lazio, Alessio D’Amato.

Per il sindaco di Roma Roberto Gualtieri si tratta di una profanazione “vigliacca” e “inaccettabile”. Il primo cittadino della capitale ha sottolineato che il Comune farà “ripulire subito questo scempio. Alfredino resta nei nostri cuori e Roma gli ha appena dedicato questo bel murale a Garbatella. Questi barbari si vergognino”.

L’allarme, scrive l’edizione romana del Corriere della Sera, è stato lanciato da una visitatrice del cimitero romano che si è accorta delle svastiche domenica 29 maggio. Sono in corso le indagini dei carabinieri per tentare di rintracciare gli autori della profanazione.

La storia di Alfredino

Alfredino Rampi scivolò in un pozzo artesiano il 10 giugno del 1981, a sei anni. Dopo complicate operazioni di soccorso durate tre giorni, che tutto il Paese seguì per la prima volta in diretta tv, il bambino fu dichiarato morto. Il suo corpo fu recuperato dopo 28 giorni.

Tutto iniziò nel tardo pomeriggio del 10 giugno, intorno alle 19.20. La famiglia Rampi era andata a stare nella loro seconda casa a Vermicino, tra Roma e Frascati. Alfredino stava rientrando a casa da una passeggiata con il padre: il bambino chiese di fare un tratto di strada da solo, attraverso i prati, ma il padre lo perse di vista. Non trovandolo, la famiglia iniziò a cercarlo nelle campagne circostanti fino a quando, in serata allertarono le forze dell’ordine.

Polizia, vigili urbani e vigili del fuoco, insieme a vicini e abitanti del posto, continuarono le ricerche. La nonna del bambino chiese di andare a vedere in un pozzo scavato in un terreno vicino, dove si stava costruendo una casa. Inizialmente l’ipotesi fu scartata perché il pozzo era coperto da una lamiera tenuta ferma da sassi. Solo in un secondo momento si scoprì che il proprietario del terreno l’aveva chiuso dopo la caduta di Alfredino, ignorando che il bambino fosse scivolato nel pozzo.  Un agente della polizia però insistette nell’ispezionare il pozzo e, infilando la testa, sentì i lamenti del bambino.

Partirono così in serata le operazioni di soccorso che da subito si rivelarono molto complicate: Alfredino era bloccato a una profondità di 36 metri, in un cunicolo.

Il primo tentativo di salvataggio fu fatto legando una tavoletta di legno a una corda che, calata nel pozzo avrebbe permesso al bimbo di aggrapparsi. Ma la corda si spezzò lasciando la tavoletta incastrata a 24 metri di profondità ostruendo il condotto. Il bambino però rispondeva ai soccorritori e alla famiglia grazie a un’elettrosonda calata nel cunicolo da alcuni operatori Rai.

Ben presto fu chiaro ai soccorritori che portare fuori Alfredino attraverso l’imbocco del tunnel, largo solo 28 cm, sarebbe stato molto difficile. Per questo si tentò di scavare un tunnel parallelo che sarebbe poi stato collegato, nel punto in cui era caduto Alfredino, attraverso un cunicolo orizzontale. Le operazioni di scavo proseguirono per tutto il giorno successivo alla caduta, l’11 giugno, con non pochi problemi. In molti punti si incontrarono tratti di roccia che resero necessario l’arrivo di perforatrici sempre più potenti. Intanto, a metà giornata, iniziarono ad arrivare le troupe Rai.

Le parole del comandate dei Vigili del fuoco Pastorelli che aveva dichiarato che l’operazione di salvataggio sarebbe andata presto a buon fine, convinse i telegiornali a seguire in diretta l’evento con una staffetta tra le tre reti Rai. L’attenzione mediatica portò sul posto oltre 10mila persone, seguite da venditori ambulanti di cibo e bevande.

Le operazioni di scavo continuarono tutto il giorno fino a quando alle 23 fu autorizzato a scendere nel pozzo un volontario siciliano dal fisico minuto, Isidoro Mirabella, ribattezzato “l’Uomo ragno”. L’uomo non riuscì ad avvicinarsi ad Alfredino ma poté parlargli.

Il giorno dopo, il 12 giugno, le operazioni di scavo per completare il tunnel continuarono mentre nel frattempo Alfredino aveva smesso di rispondere ai soccorritori. I medici constarono che il suo respiro si stava via via affievolendo. Alle 16:30 arrivò sul posto anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

In serata il cunicolo orizzontale, che metteva in comunicazione il pozzo in cui era il bambino con quello parallelo, fu completato. Tuttavia, si dovette prendere atto del fatto che il bambino nel frattempo era scivolato ancora più in basso. Un soccorritore si calò nel tunnel appena scavato calcolando che Alfredino si trovava ormai a una profondità di 60 metri.

L’unica possibilità rimasta era la discesa di volontari lungo il pozzo. Il primo a prestarsi fu uno speleologo, senza successo, poi ci provò, dopo la mezzanotte, un tipografo d’origine sarda Angelo Licheri, piccolo di statura e molto magro. Si fece calare nel pozzo originario per tutti e 60 i metri di profondità: riuscì a toccare Alfredino, ad allacciargli l’imbracatura ma l’imbracatura si aprì. Provò a tirarlo su prendendolo per le braccia, ma il bambino scivolò ancora più in profondità. Licheri fu tirato su dopo 45 minuti e con un polso rotto.

All’alba un altro speleologo provò a imbracare Alfredino ma il bambino scivolò. Al secondo tentativo, senza esito, l’uomo riferì che con ogni probabilità il piccolo non respirava più. La madre provò a chiamare a lungo il figlio attraverso l’imbocco del pozzo. Fu quindi calato uno stetoscopio che non percepì battito. Nel pomeriggio, attraverso una piccola telecamera fu individuato il corpo senza vita di Alfredino. Si decise quindi di immettere azoto liquido nel tunnel per conservare il cadavere del bambino che fu recuperato 28 giorni dopo, l’11 luglio

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia