La presenza dilagante in tv e sui quotidiani di Andrea Crisanti, non si sa bene se in veste di scienziato o di senatore del Pd, fa arrabbiare parecchi. L’avvocato Jacopo Pensa, che assiste il presidente Fontana nell’inchiesta di Bergamo per epidemia colposa, invita la procura a tenere a freno il proprio consulente. E lo stesso governatore lombardo si dice “indignato” per il fatto che, tra le tante analisi scientifiche di chi ha studiato il fenomeno del covid che ha creato l’epidemia tre anni fa, solo il Crisanti-pensiero sia stato preso in esame dalla procura di Bergamo e sia diventato addirittura “oggetto di un processo”. E perché solo a Bergamo e non anche in altre città, fa eco il professor Matteo Bassetti. Allora, “colpevolizziamo tutti?”

Ma tutti chi? Aiutiamoci con il ricordo. Avete in mente quelle immagini della Stazione Centrale di Milano? Aiutiamoci con le cronache del tempo. “A poche ore dalla bozza del decreto contro il coronavirus che dichiara la chiusura della Lombardia e di numerose province, in moltissimi si sono precipitati per salire sui treni in partenza da Milano verso il sud d’Italia”. Era l’8 marzo del 2020, esattamente tre anni fa. Quando si discute su “zona rossa si” e “zona rossa no”, soprattutto con il codice penale in mano, sarà bene ricordare come era la situazione in Lombardia in quei giorni.

Sì, in Lombardia, perché nel resto d’Italia, soprattutto al centro e al sud, non si aveva la minima percezione di quel che stava succedendo. E quando era stato emanato il decreto che imponeva le chiusure, la gente scappava. Non dal virus, ma dalle limitazioni alle proprie libertà. Stiamo parlando dei cittadini, magari gli stessi che oggi mettono alla gogna governanti, amministratori e sanitari, che non avrebbero avuto sufficiente attenzione al valore della vita. Tanto da finire, processati, con metaforiche manette, come “untori” e seminatori di virus. Perché l’unica verità su quei primi giorni del 2020 è che c’era una grande confusione. Non c’era alcuna direttiva sui comportamenti da tenere, ha ricordato ieri il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, il primo però a indossare la mascherina in televisione e portare a casa insulti e irrisione da parte dei fenomeni che oggi si strappano i capelli.

Si brancolava al buio, e lo stesso professor Andrea Crisanti, forse perché, come ha sottolineato il suo “maestro” Giorgio Palù, era più esperto di zanzare e insetti che di virus, quando alla fine del 2020 si aspettava con ansia il primo vaccino della Pfizer, aveva dichiarato che non lo avrebbe fatto in assenza di sperimentazione e dati certi, suscitando sconcerto e indignazione in tutto il mondo sanitario a accademico. Anche lui untore, dunque? In molti stanno ricordando, in questi giorni, lo slogan “Milano non si ferma” del sindaco di Milano Beppe Sala, e gli aperitivi sui Navigli con il segretario del Pd Nicola Zingaretti. E il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, cioè colui che avrebbe dovuto più di altri mostrare preoccupazione, dava l’esempio del proprio “coraggio”, mostrandosi in un buon ristorante con la moglie.

E le dichiarazioni di Matteo Salvini, di Giorgia Meloni, Virginia Raggi e Dario Franceschini e Francesco Boccia. Tutti contrari alle chiusure. Ma anche e soprattutto i rappresentanti dei corpi intermedi, dai sindacati fino a Confindustria, Confcommercio e Confartigianato, Confesercenti, Coldiretti e Lega coop. Insomma, le zone rosse non le voleva nessuno. I cittadini per non sentirsi prigionieri, per una questione di libertà, insomma. Le associazioni per motivi economici e di sviluppo. Ma non bisogna sparare su nessuno. Erano tutti in buona fede. Anche con gli errori. Lo stesso Andrea Crisanti domenica nella trasmissione ”Mezz’ora in più” ha detto che non ogni errore deve trasformarsi in colpa. Ottimo, ma lui aggiunge un però, “i disastri vanno esaminati”. Gli replica il professor Matteo Bassetti, uno che ha qualche titolo per parlare, essendo il direttore della clinica di malattie infettive del San Martino di Genova: esaminare, studiare per evitare di ricadere negli stessi errori è un conto, trovarci tutti sul banco degli imputati un altro discorso.

Anche in sede politica questa inchiesta di Bergamo suscita più di una perplessità. A Milano per esempio l’assessore Pierfrancesco Maran, sacrificato dalle mancate primarie per la candidatura alle recenti elezioni regionali in cui il Pd ha scelto Majorino in quanto più contiguo al Movimento cinque stelle, è drastico in un’intervista a Affari Italiani. È giusto, dice che ci sia un momento di “verità storica”, anche per prepararsi a eventuali prossime emergenze. “Ma- obietta subito dopo – non credo però che questa preparazione debba passare dalle aule di tribunale, con accuse e indagini su singole persone che hanno preso delle decisioni difficilissime in un quadro di conoscenze incerto”. “Un’inchiesta irragionevole”, definisce l’attività della procura di Bergamo l’esponente del riformismo milanese. Senza timore di essere considerato il difensore d’ufficio di Attilio Fontana.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.