Riscrivere la storia. Ci risiamo, non più solo in Calabria e in Sicilia, anche nella lombarda Bergamo la procura della repubblica che indaga sull’epidemia da Covid del 2020, assume la veste dello storico, del sociologo e soprattutto del politico. Quasi in veste religiosa. Così, in controtendenza con quanto accaduto in tutta Italia e nel mondo, decide di non archiviare le centinaia di esposti presentati da parenti mal consigliati di persone decedute a causa del virus e chiede il rinvio a giudizio di mezzo mondo.

L’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro Roberto Speranza, prima di tutto. E al riguardo non è chiaro dal punto di vista procedurale (occorre sempre ricordare che la forma è sostanza) per quale motivo i pm abbiano interrogato a Roma gli esponenti del governo come persone informate sui fatti. Sono accaduti fatti nuovi da quel giorno? Diversamente avrebbero dovuto spogliarsi immediatamente di quella parte dell’inchiesta e inviare gli atti al tribunale dei ministri di Brescia. Ci sono poi i governanti regionali, il presidente lombardo Attilio Fontana e l’ex assessore Giulio Gallera. E anche i dirigenti dell’Istituto superiore di sanità e della Protezione civile.

Diciannove persone in tutto, l’intera cabina di regia che si trovò d’improvviso sotto le macerie di un terremoto repentino, tremendo e sconosciuto per natura e virulenza. Aveva questa cabina di regia le conoscenze sanitarie e gli strumenti per reagire immediatamente e in modo proficuo per evitare i contagi e le morti? La risposta è una sola: no. Eravamo a mani nude, ha detto e ripetuto Giulio Gallera, che ha anche pagato sul piano elettorale la gogna costante giocata fino all’ultimo giorno dal cinismo petulante dei travaglini. Ora però, se non crediamo di abitare in luoghi dove l’unica legge è quella religiosa della sharia, ma crediamo nella laicità dello Stato, dobbiamo porci alcune questioni semplici di diritto.

Il nodo centrale è: quando un comportamento umano ha la forza di rompere il patto con lo Stato fino a diventare reato? E ancora: certe decisioni politiche, come quella di dichiarare zona rossa un certo quartiere o aggregato di paesi, piuttosto che programmare un lockdown è compito di chi ci governa o della magistratura? Se ne facciano una ragione anche i cittadini riuniti in molto rumorosi comitati, ma le decisioni politiche non sono compito neppure delle aggregazioni di parenti e amici. Se ne faccia una ragione anche l’onorevole senatore Andrea Crisanti, che, come dice oggi anche nella sua nuova veste politica, avrebbe avuto il compito, come consulente della procura di Bergamo, di “restituire la verità” sul quel che è accaduto nel bergamasco all’inizio del 2020.

No, onorevole senatore, lei sarà sicuramente il migliore scienziato del mondo, il migliore esperto in parassitologia, ma sulla giustizia penale le mancano i principi fondamentali. Il rappresentante dell’accusa non è un sacerdote. Deve semplicemente, di fronte a una notizia di reato, accertare se vi siano responsabilità e di chi. Ma occorre prima di tutto che ci sia il reato. E questo, se permette, non lo decide lei. Così arriviamo al punto giuridico centrale, il reato di epidemia colposa, che viene contestato dalla procura di Bergamo, unica al mondo, ripetiamo, a tutti i soggetti, politici e sanitari, che composero la famosa cabina di regia che, “a mani nude”, dovette affrontare qualcosa di grave e conosciuto, al momento, solo in un luogo del mondo, la Cina, i cui responsabili furono come sempre per abitudini e cultura, reticenti più che riservati.

Sicuramente il procuratore capo di Bergamo Antonio Chiappani e il suo pool di investigatori conoscono la giurisprudenza di legittimità sull’articolo 452 del codice penale, quello che riguarda i “delitti colposi contro la salute pubblica” e punisce chiunque commetta per colpa il reato di cui all’articolo 438 cp, cioè il reato di epidemiamediante la diffusione di germi patogeni”. La cassazione a sezioni riunite si è espressa più volte e in modo inequivocabile: perché esista il reato occorre un comportamento attivo. Ora, qualcuno può sostenere che Conte, Speranza e tutti gli altri indagati abbiano in qualche modo, sia pure involontariamente, diffuso “germi patogeni”? Chi sta illudendo tutte queste persone che sono state trascinate in comitati vari, del fatto che avranno “verità” e “giustizia” per via giudiziaria sulla morte dei propri parenti, sta giocando col fuoco. E anche con le vite degli indagati.

È bene sappia anche chi non conosce i codici, che il reato di epidemia colposa prevede la reclusione da uno a cinque anni e, se dal fatto deriva la morte di qualcuno, da tre a dodici anni. Ma qualcuno crede davvero che ci sarà mai un tribunale ad assumersi la responsabilità di considerare come “untori” quegli uomini, sia sanitari che politici di opposti schieramenti, che davanti a un fenomeno grave e sconosciuto fecero l’umanamente possibile per affrontarlo nel modo migliore? Bisogna considerare anche il fatto che, come ci ricordano le ripetute sentenze della cassazione a sezioni riunite (per esempio la sentenza n. 756 dell’11 gennaio 2008), il concetto di epidemia rilevante dal punto di vista penale non coincide con la qualificazione in ambito sanitario, ma è più ristretto.

Va infatti rilevato quanto il fenomeno sia dimensionato dal punto di vista quantitativo e anche quanto sia rilevante l’intervallo di tempo entro il quale si verifica il contagio. Non sono questioni di lana caprina. E non è un caso se le inchieste aperte in tutta Italia siano ormai archiviate, mentre nel resto del mondo probabilmente ci si domanda perché l’Italia sia diventata, più che un Paese di poeti e navigatori, ormai la patria dei pubblici ministeri, che aprono fascicoli su tutto. Per completare il ragionamento, occorre esaminare anche i casi di “condotte omissive”, cioè i comportamenti per esempio del medico o del dirigente di un ospedale o casa di riposo, fino ai soggetti politici, locali o regionali e nazionali, che trascurano di compiere il proprio dovere con la diligenza del buon padre di famiglia.

Anche in questo caso la cassazione è tassativa, proprio perché l’articolo 438 del codice penale, con l’espressione “mediante la diffusione di germi patogeni” indica esplicitamente che occorra un comportamento attivo, “commissivo” perché esista il reato (per esempio, sentenza n. 9133 del 2018). Occorre inoltre anche il nesso di causalità tra le eventuali imprudenze e omissioni e le morti. E qui siamo alle famose prove diaboliche. Perché sarà necessario, per dimostrare che un determinato comportamento ha determinato la morte del malato, ricostruire ogni singolo caso, studiare ogni cartella sanitaria e valutare la situazione preesistente di ogni soggetto e ogni altra patologia, a prescindere dal contagio per covid.

Come se esistesse la possibilità di monitorare giorno per giorno lo stato di salute di tutti i cittadini. Un girone infernale, ecco che cosa è questa inchiesta. Che dovrebbe servire, secondo il procuratore di Bergamo, “non solo a valutazioni di carattere giudiziario, ma anche per valutazioni scientifiche, epidemiologiche, di sanità pubbliche, sociologiche e amministrative”. Ecco la sharia che prevale sullo Stato di diritto. Laico.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.