Non esiste un “caso Pio Albergo Trivulzio”. Il reato, epidemia colposa, è “impossibile”. E l’indagato, il Direttore generale Giuseppe Calicchio, non è certo un “untore”. Eppure questa storia non è ancora finita. Il quesito sarà posto nell’udienza del prossimo 6 marzo dalla giudice Marta Pollicino a uno stuolo di periti e consulenti medici, otto dei quali sono stati nominati dallo stesso ufficio delle indagini preliminari.

Tre anni fa, quando il contagio da covid scoppiò in tutto il mondo e la Lombardia, regione pilota per sviluppo e traffico in Italia e in Europa, fu colpita con particolare violenza, la dirigenza del Pio Albergo Trivulzio, la più grande e prestigiosa Rsa europea, si impegnò veramente al massimo per contenere il contagio e ridurre i decessi? La domanda potrebbe apparire retorica, vista la giurisprudenza ormai costante di tribunali e procure che si sono pronunciati per primi, da Trento a Messina, passando per Lodi e Modena, sull’inesistenza del nesso di causalità tra eventuali comportamenti omissivi e le morti degli anziani. E del resto la stessa Procura della repubblica di Milano, che ha proposto al gup l’incidente probatorio per anticipare il contraddittorio tra le parti, aveva chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, nata nel 2020 in piena pandemia da alcune denunce, prima giornalistiche e poi penali da parte di comitati di parenti nati ad hoc.

I procuratori del team dell’aggiunto Tiziana Siciliano, Mauro Clerici e Francesco de Tommasi, al termine delle indagini durate un anno e mezzo, avevano concluso come fosse “da escludere” alcun collegamento tra “il singolo evento dannoso e una specifica condotta riprovevole”. Nessun nesso di causalità tra comportamenti ed eventi, nessun reato di epidemia colposa, innocenti sia l’azienda che il suo direttore generale Giuseppe Calicchio. Il Pat era stato ben governato anche durante l’epidemia. I magistrati del pubblico ministero avevano lavorato basandosi su due documenti ritenuti fondamentali. Il primo era quello che riportava le conclusioni della Commissione nominata da Regione Lombardia, che aveva posto al vertice il Direttore sanitario dell’Ats milanese Vittorio Demicheli, e dal Comune di Milano, che vi aveva inserito come garante l’ex pm Gherardo Colombo.

Quasi un simbolo, e una mossa provocatoria del sindaco Beppe Sala, nel luogo dove trent’anni prima era esploso lo scandalo di “Tangentopoli” con l’arresto di Mario Chiesa. Ma ancor più determinante per la richiesta di archiviazione era stato il secondo documento, con la conclusione dei periti nominati dal tribunale, i quali avevano consegnato un testo piuttosto corposo e molto accurato, le cui considerazioni parevano tombali. Primo punto: “La gestione dell’emergenza è stata conforme ai protocolli e alle raccomandazioni dell’Oms e dell’Istituto superiore di sanità. Basterebbe del resto esaminare e riesaminare, come hanno fatto i periti allora e come sta rifacendo in questi giorni la stessa difesa del direttore Calicchio con l’avvocato Vinicio Nardo, le mail inviate fin dai primi giorni e ripetutamente dalla direzione ai dipartimenti socio-sanitari, ai medici competenti, alle figure apicali e anche all’architetto incaricato della sicurezza sul lavoro e al dipartimento tecnico-amministrativo perché agissero tempestivamente, così come predisposto dall’unità di coordinamento.

L’attenzione alla salute di ospiti e dipendenti è stata costante e immediata. Fin dal 23 febbraio 2020 era attiva l’ “Unità di coordinamento aziendale gestione dell’emergenza di sanità pubblica da diffusione di Sars-cov-2” che dirigeva le attività di intervento e controllo in ogni settore. Ma i periti del tribunale non si erano limitati alla verifica generale della capacità di intervento della dirigenza dell’Ente. Avevano anche spazzato via una vociferazione tanto falsa quanto radicata, soprattutto tra i parenti degli ospiti del Pat, secondo la quale il virus sarebbe entrato nella Rsa in seguito alla delibera con cui la Regione Lombardia aveva chiesto ospitalità nelle Rsa per malati ormai convalescenti. Peccato che il Trivulzio non ne avesse accolto nemmeno uno. E, a fronte di qualche sindacalista interno all’azienda che aveva un po’ soffiato sul fuoco del dolore dei parenti degli anziani deceduti, erano stati gli stessi periti del tribunale che, un po’ indignati, avevano constatato come nei giorni peggiori della pandemia ben il 65% dei dipendenti avesse “marcato visita”.

Alcuni erano malati, altri no. Non dunque la dirigenza dell’istituto aveva mancato al proprio dovere. Ma sono proprio i numeri a ridimensionare quello che giornalisti in cerca di scoop come Gad Lerner e quotidiani così scandalistici da rasentare la pornografia come Repubblica avevano definito “La strage nascosta” e “L’epidemia insabbiata”, piuttosto che, con il consueto cinismo, “Mani Pulite sul Trivulzio”. E’ passato un anno dal maledetto febbraio 2020 quando il Corriere della sera titolerà “Almeno a guardare i numeri, non è esistito e non esiste un caso Pio Albergo Trivulzio”. Il caso non esiste, proprio così. Riguardiamoli con serenità, oggi che è possibile, questi dati. I morti al Pat nel 2020 sono stati 460 su 1883 ospiti, pari al 24,42%.

La stessa percentuale dei due anni precedenti. E se esaminiamo i numeri scomposti per settore, vediamo che nella Rsa di via Trivulzio i decessi sono stati nel 2020 il 37,2%, mentre erano stati il 38,2% nel 2019 e addirittura del 46% nel 2018. E per quel che riguarda l’hospice, che è un po’ purtroppo il luogo del fine vita, le proporzioni sono più o meno simili, con l’83% di morti nel 2020, contro il 92% dell’anno precedente e il 90% del 2018. Considerando il fatto che una forte influenza aveva aggredito la popolazione anziana prima che arrivasse l’epidemia da covid, si deduce facilmente che non c’è stata nessuna “strage” e che non è mai esistito un “caso Trivulzio”. Anche la stessa contestazione del reato di epidemia colposa è discutibile, soprattutto per una serie di sentenze della cassazione, la quale ha sancito che per ritenere l’applicabilità dell’articolo 438 del codice penale, occorre una condotta attiva. E anche comunque che l’evento dannoso, per poter essere attribuito a titolo di colpa, debba essere prevedibile ed evitabile. Il nesso di causalità, infine, è stato considerato come inesistente proprio dagli stessi periti nominati dalla procura di Milano.

Se la vicenda è ancora aperta è perché un anno fa nel mese di giugno la gip Alessandra Cecchelli, dopo la richiesta di archiviazione del pm, ha voluto che la procura approfondisse ulteriormente le indagini dell’epidemia anche per i mesi di maggio e giugno, anche ascoltando di nuovo i comitati dei parenti. I quali si erano immediatamente opposti alla richiesta di archiviazione. Poi però la gip era passata ad altro incarico (succede anche questo, a complicare tempi e modi del processo) e si era arrivati al 2 settembre 2022. Data in cui la procura aveva avanzato richiesta di incidente probatorio, cui la nuova gip aveva risposto il 16 dicembre. E eccoci all’udienza del prossimo 6 marzo, con otto periti, tra medici legali, infettivologi e geriatri, selezionati fuori dalla Lombardia, già nominati dalla giudice. Cui si aggiungeranno quelli scelti dalle parti, che saranno, si pensa, altrettanto numerosi. Prestigiosi, da qualche indiscrezione, quelli scelti dal Trivulzio e dall’avvocato Vinicio Nardo.

Si fanno i nomi del professor Massimo Galli, del geriatra Marco Trabucchi e di Fabrizio Pregliasco. Sarà un’udienza tra esperti, che collaboreranno a suggerire alla gip il quesito su cui dovranno in seguito impegnarsi. I periti infine chiederanno i termini per il proprio lavoro, che in genere non è meno di sessanta giorni. Va tutto bene dunque? Non tanto, perché c’è una persona, il direttore generale del Pat Giuseppe Calicchio, che rimane indagato per un reato “impossibile”, a meno che non si dimostri che ha svolto il ruolo di “untore”. E soprattutto perché sarà molto difficile che questi medici si discosteranno molto da quel che hanno già sentenziato i loro colleghi nella perizia precedente: non esiste un “caso Pio Albergo Trivulzio”. Piaccia o non piaccia agli esperti delle gogne mediatiche.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.