Non può essere! E tuttavia è difficile scacciare dalla testa l’idea che con queste elezioni si sia voluta togliere agli italiani, che ancora l’avevano, la voglia di andare a votare. Dopo che è stata più volte sottolineata la eccezionalità del momento elettorale e dopo una legislatura che ha visto tre governi, nessuno dei quali scelto dagli elettori (come del resto era già accaduto nella precedente legislatura), giunte finalmente le elezioni ci si aspettava che esse si sarebbero svolte con una adeguata solennità. E, invece, tutto il contrario: termini strettissimi per la presentazione delle liste e nessuno abbia la tentazione di raccogliere le firme per un nuovo partito e rifiuti di accodarsi a quelli esistenti; mancanza del tempo necessario ad adeguare i programmi all’attuale realtà e nessuno si sogni di avere addirittura la possibilità di discutere e negoziare effettivamente i programmi di coalizione; campagna elettorale sotto l’ombrellone, e nessuno si sogni, se vuole aspirare ad essere ascoltato, di cercare di ragionare con gli elettori per proporre un programma per il futuro; un solo giorno destinato alla votazione, inutile preoccuparsi del fatto che il partito del non voto possa allargarsi. Insomma, tutto sembra convergere per rafforzare la distanza tra palazzi del potere e paese, divisi da un solco che appare sempre più difficile colmare e che il numero crescente di aderenti al partito del non voto sta lì a segnalare in modo incontrovertibile.
Tra i tanti aspetti critici di queste elezioni ve n’è uno, tuttavia, che appare particolarmente negativo e capace di inquinare fortemente la dimensione democratica dello svolgimento delle elezioni. In una elezione super veloce come questa, nella quale i tempi sono ancora più accorciati dalla presenza del “generale agosto”, che tradizionalmente in Italia impone il blocco di qualsiasi attività, ci sarà spazio solo per gli slogan. E quali sono più efficaci di quelli che fanno leva sulla paura?
Ed eccoli, infatti, i vari leader sbracciarsi per incutere paura agli elettori. Impresa nient’affatto difficile in un paese sempre più piegato da una molteplicità di crisi: quella pandemica, quella economica, quella sociale, quella demografica, quella climatica, quella idrica, quella energetica… Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Franceschini scrive su Twitter “Carlo Calenda e Nicola Fratoianni fermatevi! Ci aspetta una sfida molto più grande dell’interesse dei nostri partiti: evitare che l’Italia finisca in mano ad una destra sovranista e incapace.” Crosetto dichiara a Repubblica “In autunno avremo la necessità di affrontare una grande emergenza economica e sociale” e quindi, è il sottinteso, sarete irresponsabili se vi opporrete a noi che governeremo. Salvini, dal canto suo, ha ricominciato con la mesta contabilità dei migranti, denunciando gli spaventosi pericoli di una immigrazione selvaggia ed incontrollata. Lo spauracchio delle tasse, a sua volta, ha ricominciato ad essere sventolato, come strumento di lotta contro la sinistra, dalla destra moderata. Si tratta solo di alcuni esempi di quanto sta avvenendo in questa campagna elettorale. Cui occorre, poi, aggiungere le tradizionali denunce del pericolo fascista e del pericolo comunista e le grida di allarme circa “l’emergenza democratica”. Emblematico di quanto sta accadendo è il tentativo di Letta di mettere insieme tutto ed il contrario di tutto per impedire che “questa” destra possa vincere. Come se vi fosse mai stata, per la parte politica cui appartiene Letta, una “destra” vincente meritevole di rispetto.
Insomma, un appuntamento elettorale, che avrebbe dovuto segnare un momento decisivo per il futuro dell’Italia, in considerazione sia dell’urgenza delle crisi che l’attanagliano e sia dell’urgenza di una legislazione costituente sempre più necessaria per ridare efficienza alle istituzioni, è destinato a svolgersi sulla sola base di slogan con un unico comune denominatore: quello della paura. Ciascuna parte politica è, difatti, soprattutto impegnata, ancora più che in passato, a spaventare gli elettori sulle conseguenze nefaste, che seguirebbero alla vittoria dell’altra parte. Ed il risultato è che di tutto si parla salvo che, come ha osservato Sabino Cassese, del merito di quelle che sono le urgenze del paese: la scuola, la sanità, la giustizia, la povertà, etc. Si deve aggiungere che i vincoli derivanti, da un lato, dai rapporti internazionali e, dall’altro, dall’enorme indebitamento dell’Italia, fanno sì che le divergenze di politica economica e sociale molto spesso si riducano, nella realtà, a mere sfumature, con la conseguenza che sono del tutto inidonee a mobilitare l’elettorato.
È chiaro che quanto accade sta riducendo le elezioni ad una battaglia solo per il potere (o come ormai si è usi dire per le poltrone), senza alcun reale collegamento con quelle tavole dei valori, che sono le sole capaci di dare qualità al dato elettorale, che altrimenti si risolve in numeri senza alcun significato programmatico. Non a caso Bertinotti parla, a proposito del patto Pd- Sinistra e Verdi, di accordo tra professionisti della politica. Proprio per questo Calenda, nel tentativo di avere un ancoraggio programmatico coerente per la sua strategia elettorale, è stato costretto a sciogliere l’alleanza elettorale appena conclusa con il Pd. Ed ha ragione quando denuncia che lo scontro tra meri cartelli elettorali è inevitabilmente destinato a produrre risultati ambigui, la cui coerenza si frantumerà di fronte alla prima seria difficoltà. Già si profila, all’orizzonte, un esito: ancora una volta vincitori saranno i palazzi, i quali, approfittando dell’incoerenza del risultato elettorale, potranno continuare a fare il bello ed il cattivo tempo, relegando la volontà popolare a mero orpello formale. Del resto, è tale la consapevolezza che questo sarà il risultato che molti attori politici già preannunciano che l’esito dovrà essere un nuovo commissariamento della politica, con la nomina del non eletto Mario Draghi a Presidente del governo che verrà.
È un errore, per di più, non considerare gli effetti politici e sociali di una campagna elettorale giocata, come si è detto, quasi esclusivamente sulla paura. Essa determinerà inevitabilmente una perdita di legittimazione di chiunque risulterà vincitore, così continuando ad erodere quel collegamento tra istituzioni e volontà popolare, che è l’essenza della democrazia. Si deve aggiungere, e non si tratta di un argomento di poco conto, che una campagna elettorale, che fa leva quasi esclusivamente sulla paura, ha l’effetto di una forte disgregazione del tessuto sociale. Il tema è stato affrontato, con la lucidità che l’ha sempre contraddistinta, dalla filosofa americana Martha Nussbaum nel volume “The Monarchy of fear” 2018, pubblicato in Italia da Il Mulino con il titolo “La monarchia della paura”. Osserva la filosofa che la paura è intensamente narcisistica. Scaccia ogni pensiero degli altri, anche quello più radicato. Essa allontana dalla preoccupazione degli altri, restituendoci al solipsismo infantile. Nello stato di paura, la presenza degli altri genera solo ansia e l’unico modo per evitarla è garantirsi il controllo, appunto, degli altri.
Mentre sul piano politico, dunque, la contesa tra meri cartelli elettorali non promette niente di buono, ancora peggiori sono le conseguenze sul piano sociale. La sollecitazione ad aver paura crescerà di intensità in questa brevissima estate elettorale, ed il risultato sarà una popolazione ancora più spaventata di oggi e, dunque, una chiusura maggiore nei propri recinti individuali, con conseguente arretramento dello spazio di influenza di categorie morali come quelle della responsabilità sociale o della solidarietà sociale.
I valori democratici, di cui sono espressione le elezioni nei regimi liberaldemocratici, avrebbero dovuto essere considerati, in questa occasione, con maggiore rispetto e con maggiore sensibilità. Non potrà destare sorpresa la crescita del partito del non voto.